Valdossola

Non ho fatto in tempo a conoscere bene i miei nonni tanto da poterci parlare a lungo. Vivevo lontana ed ero piccina, quando sei piccina difficilmente in autonomia vai e chiedi al nonno com’era la guerra.

Mio nonno paterno per chi me lo ha definito era un “fascistone” e anche un “comunistone”. Segno che, da qualche parte, di confusione ce n’era parecchia. Me lo ricordo vecchio e malandato, sulla sedia a rotelle, cantarmi canzoni di campi, di giugno e di mietitura. 

Mio nonno materno aveva il soprannome di “‘u balilla”. Può bastare. Però fu lui a dirmi di aver combattuto in Grecia e di avere visto il mare, prendendo in giro sua moglie, mia nonna, che si vantava di voler morire dove nata. Anche se poi ogni tanto sospirava “chissà cum’è stu mmaree andò sciate”. 

Ora mi pento di non conoscere, di essere simile a chi di resistenza sa solo quello che sta scritto nei libri o che fan vedere alla tivù: nei libri la resistenza potrà cambiare, in tivù è già uno spettacolo coi tempi della commozione e del divertimento segnati in palinsesto. 

Poi ho preso a prestito, e così si fa, le storie dei territori presso cui vivo, le storie lombarde e piemontesi, spesso in mezzo, linea il Ticino.

Storie di un territorio alla ribalta sui giornali per feste di compleanno anticostituzionali, però permesse. Di un territorio dove puoi avere un amico il cui padre, fascista, è stato portato via dagli “altri”, i rossi, e che ferma la Storia dell’Italia alla storia di suo padre. 

Ogni anno che la storia si allontana da questo territorio, mi dico, da insegnante, devo fare di più.


Valdossola

16 ottobre 1944


E il tuo fucile sopra l’erba del pascolo.

Qui siamo giunti
siamo gli ultimi noi
questo silenzio che cosa.

Verranno ora
verranno

E il tuo fucile nell’acqua della fontana.

Ottobre vento amaro
la nuvola è sul monte
chi parlerà per noi.

Verranno ora
verranno.

Inverno ultimo anno
le mani cieche la fronte
e nessun grido più.

E il tuo fucile sotto la pietra di neve.

Verranno ora
verranno.

(Franco Fortini, da Foglio di Via) 


#ioleggoperché – gli amici

  

 

Sebbene sia più facile, o così è stato, “similes cum similibus”,  a volte avere un brigante come amico aiuta. 

E i libri aiutano i briganti, si sa. 

Oggi, il percorso dalle madri, passando dai maestri, fa tappa con gli amici, non solo virtuale, ma anche reale. E se è reale, c’è spesso una stazione, un treno dove prendere o andare. 

E ne ringrazia un paio, lei e lui, direttamente. 

Poi ringrazia tutti quelli che mi han portato libri non a caso, nella vita, tanti, e anche qualche libro che non mi è piaciuto. L’albero di sotto, però, non l’ho segato mai.

Quasi alla fine di #ioleggoperché

#ioleggoperché -i professori

#ioleggoperché di sabato in quinta ginnasio il professore di lettere, un integerrimo ma flemmatico abruzzese, aveva quattro ore di lezione di fila con noi, e greco e latino e italiano e geografia e cheppalle, anche. Le sue. Le mie.
Poi un sabato ci lesse e ci spiegò “a livella” di Totò, e quel sabato non mi andò più via.

#ioleggoperché
alle scuole medie il professore di storia, un pazientissimo e ironico salernitano, mi fece vedere tante volte il film “indovina chi viene a cena”. Me ne fece trascrivere dialoghi, tante volte. E il significato di quel film non mi andò più via.

#ioleggoperché alle scuole elementari, la maestra, una semplice e cattolicissima varesotta, ci fece ascoltare tante volte un brano di musica sinfonica e ci chiedeva di immaginare il fiume e come diventasse maestoso mentre cambiava il ritmo della musica. E quel saper sentire non mi andò più via.

Ieri le madri. Oggi tocca ai maestri. Domani vediamo.

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#ioleggoperché, ultima puntata o giù di lì

#ioleggoperché mi aggiravo con un topolino tra le mani (il fumetto, non un reale panteganino) lagnando petulante “mamma mi leggi mamma mi leggi” e mamma era stufa, al ritorno dalla filatura che era un cazzo di lavoro di merda. Leggi da sola, vieni qua ti insegno io, b con a ba, b con e be.
#ioleggoperché a tre anni e mezzo mamma me lo ha insegnato, quindi.
#ioleggoperché non ho mai imparato a fare molto altro, inmailaif.

Si conclude la gara del gioco virale dei blog, vinta dalla ‘povna, che di questo gioco è stata un po’ mamma.
Il 23 aprile è quasi qui, e noi siamo pronti!

Alle mamme e al leggere, dunque.

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#Ioleggoperché – cita un libro 9 e del senso di colpa

La storia siamo noi e le di lei tragedie, davanti alle quali più nessuno è incolpevole…

 

 E poi la storia dentro di noi, davanti alla quale ce la vediamo, per fortuna, solo noi.

  

Poiché la Fallaci non è personaggio che amo, doveroso spiegare che questo libro lo lessi a dodici anni, ne rifeci il verso in un tema di quarta ginnasio che ci presi pure otto in italiano tanto era premiata la retorica; meno doveroso dire che certe telefonate lontane a volte si devono fare fuori dalle pagine dei libri laddove le ideologie se ne vanno in Affanculìde parecchio rapide pure.

Il senso di colpa è lo splendido tema decretato dalla vincitrice della settimana  wolkerina, che non sa che potrei scriverci un’enciclopedia, con voci di pessimo spessore. 

E che il senso di colpa che in letteratura mi ha appassionato e affascinato di più è quello al limite del mai pentimento di Humbert con la sua Lolita, con il quale decido di gareggiare, alfine.

  

Per le regole, che settimana prossima avranno dei cambiamenti bussate a ‘povna, inventrice del nostro gioco. E ci avviciniamo sempre più al 23 aprile e a #ioleggoperché

Don’t Clean Up

Due anni fa nessuno di loro sapeva cosa fosse la Diaz.

E nemmeno io, in fondo, lo so cos’è un inferno tale.

Però oggi, prima la notizia, poi notifica dalla classe virtuale on FB, Momo, proprio il mio dolce Momo che di cazzi sua ne avrebbe già abbastanza, mi mette il link della notizia e mi dice “si ricorda prof? In terza ne avevamo parlato” e continua col suo rammarico per il suo paese.

… è pochissimo, lo so, ma stasera questa cosa me la faccio bastare.

So far so close

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Così lontano, così ticino.
(Pellicola di venti chilometri con caduta di stile e di bici nella boscaglia.  Mai seguire regista che dice “adesso facciamo una pausa, sei stanca?” e ti si impigliano i pantaloni nel pedale e splaf).

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Un tuffo nel passato
(Pellicola in cui c’è una tizia già vista nei film tristi di Rohmer che al primo sole s’ammala della nostalgia dei tuffi a due, praticamente un’oca. Poi fa l’aperitivo sul lungo fiume freddo, incontra due ragazzi giovani che l’avvisano di star pronta alle evenienze e ricordano di quando era bello recitare insieme per John Belushi)

Ho fatto una pasquetta che era un cinema!

Cita un libro – #ioleggoperché con auguri infiniti

Comunque la si voglia vedere, questa domenica di festa, resurrezione, rinascita, passaggio, un popolo verso la libertà (magari, e magari non un solo popolo), un uomo e basta col suo sepolcro vuoto alle spalle, non so.
Faccio gli auguri ai miei amici o solo compagni di avventura scrittura, amici hereticissimi e non.

Il tema assegnato da EFFE e dal suo gonnellino, vincitrice del gioco con cui caracolliamo felicemente verso il 23 aprile di #ioleggoperché è nientemeno che l’infinito.

Un tema che mi vede spesso uomo del Seicento, essere una gamba del compasso, per non allontanarsi mai.

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Oppure essere Roberto de La Grive, e scoprire il mondo nuovo.
Al gioco, mi si perdoni il doppione, partecipo con l’avventuriero, naufrago che non sa nuotare, alle prese con un gesuita, personaggio di un romanzo anch’esso tanto infinito.

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