In piccolo

Abitare in un paese piccolo, con tremila anime, può significare che mentre sei seduta con delle amiche a Bologna, ti può telefonare il sindaco e tu dici “scusate il telefono acceso, devo rispondere, il numero sul display è quello del sindaco” e tu parli al telefono e loro, amiche per interposta persona (me) solo quel giorno in uno dei segmenti di geografia amicale che disegno spesso. Loro ridono e le sento dire “certo, t’immagini, qui in Santo Stefano a bere e ti telefona il sindaco, pronto son Cofferati, la chiamo per”….

E così, di anno in anno, la telefonata del sindaco mi avvisa che è settembre ed è ora della borsa di studio. Di calcolare dei punteggi per attribuire a studenti del paese qualche soldino per studiare.
Quest’anno, come gli altri, le persone chiamate a questo piccolo incarico, più addentrate di me nella vita di paese piccolo, sciorinano qualche piccolo aneddoto vicino al nome e cognome dei ragazzi partecipanti. Si arriva a un ragazzino, cambia il tono, ha perso il padre da poco, lavorava solo lui, la mamma no, sono in quattro figli.
Quattro figli, senza il babbo, mamma casalinga.

Guardo i voti mentre riempiamo le caselline della tabella, media, materie, etc etc.
Guardo di straforo e spero. Che i due figli del dottore abbiano un decimale più piccolo. Son distratta da quello che forse è uno sciocco e inutile piccolo residuato di classismo o forse no.
Alla fine dei calcoli, una graduatoria.

Il piccolo c’è.
Meno male.

Mentre tutto là fuori infuria, troppo poco piccolo per me.