‘cause I try and I try and I try

Quando due anni fa accettai di candidarmi a tale carica, non sapevo minimamente, gnuranta che sono, a cosa sarei andata incontro, di cosa si trattasse, bastava una tessera perché venissero a cercarti. E la tessera c’era e c’è.

Due anni di rappresentanza sindacale; ad ogni assemblea sono due anni di vita che consumo. Roceresindacale.

Lo dico in ufficio, mi rispondono “non ho necessità alcuna di sviolinarti, sai, ma lo fai proprio bene” E ancora il buon Netto “sono contento, le persone cominciano a conoscerti ed apprezzarti in questo ruolo, apprezzano le tue capacità di mediazione”

Mediache? ahahahahahaha

Dovrei dire a Netto che durante le lunghissime riunioni di contrattazione l’unica cosa intelligente che a tratti penso, in mezzo a quei numeri, è “baciami stupido”.

Intanto la scuola va, l’inverno procede, il gatto si stiracchia, la simulazione di mutuo mi ha depresso, sabato andrò da un parrucchiere e a casa han detto “addio piangerà tutto sabato sera”, il pensiero è continuamente materia.

Tranne per lo stupido, che non bacia.

Bonus

Dal 25 agosto calpesto i corridoi dell’Istituto Durocome che non amo più. Alla faccia di chi ti dice “finita la pacchia eh?” la sera prima, come se tu fossi uno studente e non un docente.

Tra riunioni, esami di idoneità, debiti, scrutini, dipartimenti, ne ho di aver capito già la rotta. Mi son già anche rotta. Anche se poi la sera mi trovo al pc con entusiasmo a preparare la nuova sfida dell’animatrice del villaggio duepuntozero che di duepuntozero non ha alcuna velleità.

Al collegio mi è stato annunciato che ho vinto, evviva, il bonus dei docenti. Che lo abbiano concesso a chiunque abbia compilato la domanda, passa in secondo piano. Che alcuni non abbiano voluto compilare la domanda perché il denaro è vile e cotali non lavorano certo per denaro, mi scivola senza attrito invece in terzo piano, il piano inclinato della mia indifferenza e di anche un vaffanculo.

Insomma ho vinto ma non so ancora che cifra mi spetti perché la cifra lo Stato ce l’ha solo indicata ma stanziata no. Insomma non c’è. Insomma è virtuale. Insomma prenderò un bonus di merito che somiglia tanto al bigliettone da un milione del signor Bonaventura, di mia bambina memoria. Ho vinto!

Ho vinto anche la rottura da caldo e ho ricominciato a portare la zampa fasciata dai 200 den microfibra bellamente sugli aperitivi in spiaggia, lago pane e salame e il lago che sparisce e lascia il posto a spiagge perdute.

Ho vinto perfino a biliardino, gol al primo minuto, poi basta, giù a ridere.

Poi, la solita canzone.

 

O document

Credo che poche persone esterne alla scuola sappiano in cosa davvero consiste il flagello del “documento del 15 maggio” ovvero quel faldone di informazioni sulle classi quinte da approntare con la storia scolastica della classe, la presentazione e le singole parti di ogni docente e disciplina.
Un modello che ogni scuola ha in certo qual modo codificato; scuola che vai grafica del modello che trovi.
Dove per grafica si intende il testo giustificato questo sconosciuto, l’impaginazione omogena su Rai 3 a chi l’ha visto e cose buone di pessimo gusto.
Un modello che nel 2016 con il registro elettronico, se fossimo furbi a pagare quelli migliori e ad usare comunque bene quelli così cosà, comporterebbe fatica di meno. Un documento che si smazzano i coordinatori delle classi quinte e i colleghi te lo mandano via e-mail e poi “fai tu vero l’assemblamento?”.
Cavoli, certo, 15 maggio su coraggio.
Questa la premessa.
Quest’anno ho condiviso una cartella su Drive. Ho spiegato come si fa, mandato l’invito, aspettato la prima protesta, puntuale “perché imparare una cosa nuova così ora alla fine dell’anno?”. Certo facciamo l’anno prossimo. Così imparo.
Gli altri nicchiano, la cartella è vuota.
Stamattina l’apoteosi. Il collega della materia quella che se ne dovrebbe fare a meno di averla, la materia e pure il collega, mi avvicina e dice ” senti io sono molto imbranato con la tecnologia non ho un account gmail quindi non riesco quindi te lo mando via email il documento”
Quindi vaaaa beeeeene.
Apro la mail che non contiene alcun file allegato.
Perché lui il documento lui lo ha scritto direttamente nel corpus del messaggio.

Io non posso vivere incazzata, gente, vi è rimasto un zichinin di napalm in cantina?

Damme o document; damme o document o document tu me l’ à dà…

molla il colpo

una mattina di ottobre qualsiasi, colpi di tosse, ricordati lo sciroppo, no, nemmeno, segno che qualche priorità sta già allo sbaraglio, chissà da quanto.

due ore buche, noiose, implacabili, lo saranno meno settimana dopo settimana.

una ragazza da sola in infermeria, sola con due compagne che le tengono il cestino della pattumiera davanti, dove vomita. “ma siete da sole qui?”. Chiamare qualcuno, eviterei di prendermi un altro microbo, che già non mi mollano più.

pensare davanti al volto provato “forse è incinta” e ripensarci sopra “che bello”. Certo, per me. Per una quindicenne, meno. O boh.

O boh, il mio approccio al mondo di questa stagione, quando ottobre dà il meglio di sé nei colori caldi e nelle brezze fredde.

qui a fianco una collega davanti al pc “guarda che cazzo di lavoro mi sono messa a fare oggi”. le dico sì senza nemmeno sapere di che lavoro trattasi, perché tanto prima o poi bisogna farlo un cazzo di lavoro, le dico.

qualcuno entra, cerca l’omino dell’orario (sapete a scuola quei docenti che si occupano dell’orario e che per due mese diventano omini) che non c’è, ieri l’han visto urlare nei corridoi, oggi il tabulato che non piace mai a nessuno è sul tavolo del dirigente. O boh.

quella del cazzo di lavoro dice dell’omino che non c’è, che dovrebbe mollare il colpo.

anche io, spesso, e non sono mica brava. Cado in trappoline da principianti assolute.

vado, chissà, speriamo che la quindicenne stia meglio, vah.

Straordinario

Che poi si finisce così. A chiedere di essere pagati di più. Per fare ciò che si è chiamati a fare ordinariamente. Solo perché qualcuno non lo fa, l’ordinario e viene pagato, appunto e non lo fa. E a chiederlo a chi non ricopre esattamente il ruolo di decidere chi deve fare e cosa. E pagare per.

Ai miei ragazzi, spesso, correggendo i testi argomentativi, faccio notare che il “si” impersonale è tale perché si è appunto, impauriti di dire chiaramente chi fa cosa.

Su facebook (per cui anche nella vita) imperversano analisi politiche improntate al qualunquismo più sfrenato. E io invece ci cazzeggio. Che i leghisti son cacca, il berlusconismo ha sdoganato il peggio, ma la vera colpevole è la sinistra, questa sinistra che ci ha portato il degrado. Nessuno si senta escluso, insomma.

Però. Io, dalla profondità del mio cazzeggio, io oggi qua, una cosa (seria) la aggiungerei.
Un paese è soggetto a cambiamenti, ovvio. Io conosco una sola via per fermare quel che viene letto come degrado. Ma degrado di che? E da quando? (sto leggendo Pasolini, mi tormentano le domande, pazientate.) E se non fosse degrado ma un percorso, uno dei tanti, (non utopico che l’utopia uff, che facile)? Credo fermamente e, credendo, esercito, questo: che il cittadino si deve sporcare le mani nel pubblico. Non solo nel lavoro. Ma nella partecipazione, dall’andare in consiglio comunale al consiglio di istituto della scuola dei figli…a tutta la partecipazione statale possibile.
Non so definire quando l’italiano abbia smesso o se il mio osservatorio personale e familiare è limitato quando ricordo che mio babbo così faceva, la mamma pure, io, i miei compagni di classe, gli amici dei miei genitori, i miei vicini di casa, etc etc. Mia sorella no (è stata prodotta negli anni ottanta: conta il conto?).
Però ha smesso, e così addio, distacco dalla politica, eliminazione della partecipazione. Annullamento differenze destra e sinistra e centro.
E anche dire però la sinistra almeno ha tenuto bene sulla cultura. Ma la cultura non basta se non è condivisa e non si fa motore di partecipazione.

Il mio osservatorio poi, da qua, provincia che si intuisce, avvisa che le giovani generazioni di prossimi votanti hanno una bella impostazione teocratica. Non distinguono ciò che va dato a Cesare e ciò che va dato a quell’altro là.

Che un dsga si lamenti con me del fatto che “su 2000 genitori solo 43 siano intervenuti alle elezioni del Consiglio di Istituto” e si lamenti con me del fatto che io faccia politica. E che ogni volta che un collega commenta un mio intervento in Collegio dica “le tue idee non sono sbagliate eh ma la vedi in modo politico (?) io mi dico “avanti avanti avanti”.

Nei giorni pari ci credo tantissimo a quel che provo a fare insieme ad altri (pochi). Nei giorni dispari chiederei lo straordinario.

Palestra di vita

Che l’ultimo sabato di scuola prima delle festività natalizie  ci sia la festa, appunto, di Natale, è notizia che viene accolta nei più disparati modi; da un uffa, perché non la lectio brevis e tutti a casa; da un ecco, il solito casino; da molti quasi quasi chiedo un permesso, vedrai quelli con la 104; passando da un ma la circolare oggi è già giovedì dov’è la circolare ufficiale; fino all’arrivo dell’a me che me frega tanto ho il sabato libero.

Poi tu che non ce l’hai e non lo vuoi, il sabato libero, ché la libertà è proprio un’altra cosa, in palestra ci vai, che sei di sorveglianza. E li vedi, li ascolti cantare, li guardi saltare, danzare, presentare, uscir di timidezza. L’istituto Durocome è grande parecchino ma conti che a muoversi sono i tuoi, che hai tre classi, in fondo, ma quelli sono soprattutto gli alunni tuoi. No, non c’é determinismo, Roceresà, non è che son bravi perché sei brava te, figurati, peffavòre, anzi ti dici “ma guardali sti sguaiati, latino niente eh, ma va che artisti”. Li senti, un paio ti commuovono pure, e resto a bocca aperta da quanto son bravi.

Spiegaglielo tu ai docenti che han chiesto il permesso, a quelli che si son imboscati al bar, a quelli che han parlato per due ore consecutive, attaccati alla finestra, di scuolascuolascuolacompiticompitivotivotivotimaluisìmaluiperòigenitoriahigenitori. Spiegaglielo cosa hai visto e sentito. Chi sono i loro (anzi, i miei) ragazzi. Spiegaglielo quanto ci han tenuto a che li sentissi. E quanto è importante che tu sia in mezzo a loro.

In quella palestra lì.

Ricevere

Due mamme in coda al ricevimento in un’altra classe “Professoressa, la stavamo aspettando, volevamo solo salutarla, abbiamo i figli minori adesso in prima, peccato non riaverla, magari in terza speriamo”
(Intanto penso che in una classe prima ne manca una oggi, manca al conteggio all’improvviso, manca alla vita, manca, maledizione e si leggeva sui visi e nella normalità forzata)

Al ricevimento, il mio. “Professoressa, grazie, Pierino è contentissimo di averle dato una mano col podcasting delle lezioni”
“Professoressa, Gigetto è cresciuto tanto in questi anni, è maturato, adesso mi fa certi discorsi che lo devo spegnere, quasi, e ci chiede di leggere i libri che legge con lei per poterne parlare con noi”
“Professoressa, Ventodi(sup)ponente sta matteggiando, provi a parlargli lei”
Alla fine del ricevimento, la collega, un buonumore ben assestato.
A casa penso “ora scrivo a Ventodi(sup)ponente” e non faccio in tempo a pensarlo che sul canale telematico un messaggio di Ventodi(sup)ponente mi chiede “prof posso parlarle un giorno di questi?” Sì.
E tra gli altri messaggi anche tre dei Latintristi “prof, allora per la nostra prima cena da lei, io (Bromur a nome di tutti) verrei prima ad aiutarla a preparare.
E tra gli altri messaggi i tre palindromi -di altra meravigliosa piramide- anche in una chat divertentissima in cui fissavano la cena edizione di dicembre senza nemmeno consultarmi “prof va bene anche un brunch”.

Auff nemmeno il tempo di stare a grattare il paiolo, qua. 🙂

Che strano mese di sìvembre, denso dentro ai no d’acqua.

La professoressa mo’ mo’ mentre scrive è sdraiata sul divano, ad intermittenza fissa il soffitto un po’ in fissa e vede qualcosa che si muove. Striscia. Sottile bianco. Se è un cagnotto, n’ata vota, devo rifare il giro delle farine e scovare il nuovo covo. O convincere il ragno nell’angolo opposto di andarselo a prendere lui.

Se c’è qualcosa da dire ancora, ce lo dirà

La mia scuola non sarà mai la tua.
E non per il tailleur impeccabile, per gli accessori che costeranno quanto lo stipendio, non per la messa in piega fresca bisettimanale, non per la nobiltà di sclatta o per la patrimoniale.
Queste sono cose capitateci a caso, potevo nascerci io blasonata ed eran cazzi a far la comunista, poi.
La mia scuola non sarà mai la tua perché tu vuoi essere pagata (dallo Stato, cioé dai contribuenti, sia messo a verbale) “per non stare in classe”, ma in qualità di “esperta”, che nella vita hai imparato tante cose. Che per una che sa tante cose la didattica è noia.
Tante chiacchiere.
Tutti vorremmo essere pagati per fare quattro chiacchiere.
Bah, io no.
La mia scuola non sarà mai la tua, quella degli amici “esperti” esterni che a forza, fregandosene del parere contrario di collegi e consigli, ricicli, tu e la cricca e propini.
La mia scuola non sarà mai la tua, che con tono pacato e savoir faire e falsità fingi anche e il tuo lavoro è adulare adulare adulare.
Me no, ché a me dei fiocchi sulla tovaglia della merenda me ne fotto.
Me no, ché io sono ideologica.
Inculco idee nei ragazzi. Le mie. Si sa, nella scuola “privata” non si fa.
Finché campo la mia scuola non sarà mai la tua.
E nemmeno la mia.
Finché campo la scuola resta pubblica.

Come per i carabinieri, un giuramento allo Stato ci vorrebbe. Mentre lo Stato assume persone senza nemmeno un giorno di servizio nel pubblico, in virtù di un elenco.

Che a starci in quell’elenco pare si diventi “esperto”.

La regola delle citazioni, delle riunioni e del jazz

“Se vuoi far piovere in questo posto basta accendere un barbecue” (cit. Papà Pig, babbo di Peppa Pig)
Strane citazioni eh, certo, non come quelle prese da libri mai letti, da canzoni mai ascoltate, da paesi mai visitati. Ma posso migliorare.

Il mese dei ponti è finito, alla riunione per materie che era il momento preposto a scegliere nuovi libri di testo dopo aver avuto due mesi per guardarli, studiarli, analizzarli, mi son sentita dire dal solito fronte di chi resiste ai cambiamenti, “direi che la scelta più oculata è quella di non fare una scelta che sia un salto nel buio, prenderci del tempo per valutare altri libri, e magari l’anno prossimo scegliere a ragione veduta”.
Non ci ho visto granché molto più, e ho detto con tono sottile “care colleghe, è la stessa vostra frase dell’anno scorso, quanto dite è quello che avreste dovuto fare entro oggi, LAVORARE, valutare altri libri per scegliere OGGI a ragione veduta”. Ma si sa, se cambi loro il libro che usavano loro all’università, poverine, come fanno.
Al che, a mezza voce dico a CrazyChild “oh se comandassi io, sta gente”. E lui mi chiosa “sì diceva così anche Mussolini, del resto leone come te”. “Non è bello che mi paragoni a Mussolini, però.” E lui chiosa ” il paragone è un complimento che faccio a Mussolini, non a te” … Ah, allora…

Oggi, 30 aprile è la giornata internazionale Unesco del jazz.
E io il jazz lo amo, anche se di solito si canta che le donne odino e non capiscano il jazz. Per questa giornata sto sfoderando disimpolverando i ricordi di un ovviamente caldo luglio a New York. Appena arrivata, un jet lag da farmi cadere la testa nel piatto della cena, che a New York c’era il ginger dappertutto, anche nelle cozze, e prima di New York ginger era un bicchiere con una bevanda rossa e pizzicosa di zucchero sulle labbra. Appena arrivata, uno dei sacri templi di quella musica da uomini, quasi spingersi in bus verso Harlem, quasi la sera sapeva di sciroppo d’amarena sulla pelle e sulle note.
A New York tutto fu bello e vissuto, prova ne è che non ho foto perché spesso quando vivevo non fermavo immagini, anche i ricordi, oggi, sono belli e vissuti.

Perché a farci pace col passato si ha la testa piena di sax che spingono, e spazzole spazzole sui piatti.
Del resto “la vita è un po’ come il jazz, viene meglio se si improvvisa” (cit. George Gershwin).
Strane citazioni eh, certo, non come quelle prese da libri mai letti, da canzoni mai ascoltate, da paesi mai visitati. Non ho alcuna intenzione di migliorare.

Vai e non voltarti

Mancavano delle ore di una materia importante, ancora a fine ottobre, al liceo.
Le segreterie tergiversavano, di molte scuole, a volte lo fanno, perché l’avente diritto (si dice così) non era di gradimento a molte scuole, quindi con un gioco un po’stronzo aspettavano a chiamare, temporeggiavano, chi prima arriva, male incoglie.
E poi, alla fine, aggirato l’ostacolo, lo sblocco chiamate. Il supplente.
Giovane, qualcuno dice bene.
Timido, lo vedevo già dal modo di porsi, quelli che poveri, come gru monche, si appoggiano su un piede solo, paiono che non vorrebbero occupare spazio. Sguardo perso nel vuoto, colpa dell’occhio chiaro. Speriamo che in classe si trasformi, per la materia importante. Poi non ci ho pensato più. Fino all’altro ieri, quando sotto “annotazioni” campeggiava una nota disciplinare:
“Nonostante i miei ripetuti richiami, la classe continua a disturbare costringendomi a svolgere solo metà degli esercizi previsti”

Io dico, nemmeno la fantasia. Nemmeno distanziarsi dagli stupidari delle note dei professori.
La vedo, la nota, li guardo, i terzini. Non mi piacciono molto, per ora, i signorini e le signorine di questa terza. Chiedo, da coordinatrice, come mai. “Ehhh, ma però, non è, ma se”. Capito. Richiedo, qualcuno abbia il coraggio. Me lo dicono. Prof, parla a bassissima voce, da solo, come se spiegasse solo a se stesso. (Eh). Allora noi diciamo che, diciamo che non lo seguiamo, magari prof non ha esperienza, abbiamo torto, lo sappiamo ma ci mettiamo a fare casino.

“Avete torto”. (Eh).
Provate a non essere ostili, chiedete di cosa avete bisogno (ma intanto non è che mi sembrasse dire giusto) (eh)

Poi in consiglio di classe. Nemmeno una parola, il giovane. Chissà se per timidezza, disorientamento, pocoimporta. Gli chiedo un impegno su un progetto futuro, mi dice “tanto me ne vado”. Mi congratulo se hai trovato supplenza più adeguata. “No, vado proprio via dalla scuola”. Un tono leggermente di fossiscemocomevoi, mica lo sono.

Beato te, rispondo. Vai, vai, meglio, molto meglio per te. Le colleghe fanno sì con la testa, come chi sta dentro e il meglio è restato fuori. Lui finisce il consiglio di classe in totale silenzio.

“Allora ciao, davvero, bravo, vai. E non voltarti indietro”. Un tono leggermente di neabbiamoscampatouno, che sento solo io.