Strade

Il pacchetto agognato, per un errore di calcolo arrivò alle 17 del lunedì che mi vide in aeroporto alle 16 per cui l’agognato contenuto del pacchetto resto lì. Poi lì ci andò in vacanza uno dei tre del trio Archie, Eno e il terzo appunto che si è offerto di conoscere Brenda e andare a prendermi il pacchetto per portarlo in Italia non senza portare dall’Italia un dono per Brenda. Così questa estate si è prolungata di continuo sulle vene cariche della mia gamba, cariche di strade.

Che collegano tutti quelli cui voglio bene a coloro cui voglio bene.

Per il pacchetto agognato va saputa una mia manìa anzi due anzi tre:

le spedizioni

i profumi

e questa cosa qui.

L’autunno è iniziato timido ma quando timidezza mi spinge il naso nel collo dei primi dolcevita si sprigiona una dolcezza, una voglia di essere svolta e addentata come una rotella della Haribo.

Hinn dumà i liber

Ho risolto dove metterli, almeno fino a gennaio, quelli che non sapevo più dove mettere.
Secondo me casca. Casca prima di Natale, casca pure male se la gatta decidesse di spingere lo sguardo più in là della sola ciotola.
Niente di originale, l’ho visto e copiato da qualche foto su Instagram però ierisera Bromur a cena con l’amico Nicechedice ha sorriso “questa è una bella idea”, prima di assaggiare il mio dessert al caco, che era pure un’altra bella idea.

Eccolo, alberello di natale modello duemila quindici roceresale.

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Hinn dumà i liber chi resten liber anca quand hinn legaa

Dolcezza alla pietra

 

Un pezzo della storia era già scritto qui:

“Che c’è un dolce per ogni amicale occasione e ierisera io entravo con amici vecchi e amici nuovi nell’amato solito locale e sulla lavagna del menù ho capito che non solo i numeri incrociano emozioni. Io sono il mio nome, una birra corsa e due marroni (la seconda però in molti la pensavano già)”

 

Il solito locale non sarà il solito locale ma una nuova avventura. Di un uomo innamorato del proprio lavoro, di un uomo che tra musica raffinatissima e i suoi fornelli pieni di affetto mi ha insegnato e ricordato spesso che l’impegno, il merito e il sorriso contano più di quanto in molti siamo ancora disposti a credere.

 

La storia andrà avanti, stasera e io sarò lì, sulla carta e fuori dalla carta. Perché non capita spesso di avere un dolce chiamato a tuo nome, segno di quanto gli amici si comprendano, se hanno voglia davvero di comprendersi, gli amici pure se una delle due è una dolce testa di pietra.

Sarò tra l’onorato e il commosso. E quando arriverò ai dolci, sarò alla frutta, tra l’onorato e il commosso.

In bocca al lupo, chef!

 

Ogni anno la stessa storia

Sto impacchettando il regalo per Silvestro. I biscotti son pronti da ierisera. La confezione  mi metterà alla prova, è grande, io con carta e forbici son imbranata come quando alle elementari la maestra diceva beh, lascia stare, roceresalina, leggi e basta, te. La confezione è grande, il regalo lo abbiam pensato in due, io e Namica. Io e Namica che si è gentilmente invitato Silvestro ad organizzarsela da solo la festa, stavolta. Certo, la dritta per dove andare a cena son finita a mettercela io. Ci sarà una nota teutonica.

Nel biglietto che accompagnerà il regalo, insieme anche ad un libro in tema, ci sarà scritto, se entro le otto riuscirò a finire di impacchettare quel santantuono di regalo che il commesso mi guardava impietosito mentre uscivo dal negozio, e mi metterò a scriverlo sto biglietto, ecco ci scrivo

“Con gli anni, ancora, dirsi spesso che pizza che siamo, come pane quotidiano”

Ma son passata a fare gli auguri anche a delle blogger speciali

A Pendolante

e anche a lei e leiovunque siano là fuori dalla blogosfera.

Per loro un biscotto!

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Non fatemi pressione

Questo post può contenere nomi di prodotti a scopo pubblicitario.
(Se gentilmente le ditte ci incappassero, sarò lieta di fornire il mio IBAN)

Hai presente la Lagostina, non per far réclame alla famosa marca di pentole, ma proprio quella.
Quella che hai voluto a tutti i costi, si dimezzano i tempi, si cuoce meglio. Ci hai pure litigato con mammà, tu la solita petulante, che a caval donato magari in bocca, no, ma sì, si scassano le palle.

Non l’ho quasi mai usata. Io ho paura della pentola a pressione. Peraltro non è l’unico elettrodomestico di cui ho paura, temo discretamente anche il forno a microonde – che ho regalato-, la caldaia, la centogradi, l’accendigas. Ma la regina delle fobie è lei, la pentola con tutte quelle valvole, almeno tre, che ad ogni tentativo, ripasso in rassegna come Cesare con i superstiti tra i suoi soldati davanti alla battaglia decisiva.
Ora, la mia pentola a pressione non fischia. Ci ho provato, eh, col ricettario “a dieci minuti dal fischio, tre minuti dopo il fischio”. Non fischia. E sbarbotta aria dalla qualunque valvola.
Così un paio di volte, preda di chissà quale temuta catastrofe, spengo, sfiato, sono pronta a giurare che non si riaprisse.

Qui parte il complottismo familiare “è normale” “ah boh” “ah no sarà rotta” “uh, pericolo” “sei scema te”.
Pur propendendo nettamente per la sesta ipotesi, “Eureka” Chiedo ancora no? Al Durocome vivo in una congrega di comarelle cuciniere. Una dopo l’altra, la risposta “no, io non la uso” “ah no, io ne ho paura”. Un esercito.

Ma io stasera volevo la zuppa di mele e sedano, il piatto di questo ottobre maldestro, ed era una questione di puntiglio. Ho fatto così

Pelato, detorsolato e fatto a tocchi due golden (delicious, non retriever)
Lavato e rondellato due gambi di sedano bianco
Inserito le verdure in un litro e mezzo di brodo vegetale homemade dell’altro giorno
Condito con curcuma e pepe, un zichinin a piacere.

Il tutto nella pentola a pressione. Ho alzato il fuoco.
Ci ho pensato bene. Troppo. Ho tolto dal fuoco, alzato la valvola (tanto per far scena) tolto il coperchio, e rimesso sul fuoco normalmente.
Quando (quando???) il tutto è cotto, un cucchiaio di maizena per addensare, frullate col mixer a immersione e vualà, fanchiul a la pression, bonn aptìt

La regola del botulino, del fico d’India e dei piaceri della vita

Ci si è accordati, io e Glauco da Hyundayland, per cenare da me, di fretta, cucino io. Lui ha dei tratti caratteristici: si nutre pressoché di fagioli – ce ne sono varietà incredibili -, indulge nell’aglio e nella cipolla, ha un olfatto poco sviluppato (ah, ecco), non beve, sacrilegio!; ha una teoria doppia sull’arte (no, Glauco da Hyundayland, neanche stavolta mi interessa sentirla), oscilla tra darmi del lei e volermi del tu, non è stato spesso a scuola di ironia, è cerebrale, ansiosissssssssimo, a sedici anni aveva dei capelli bellissimi (ora meno assai), forse devo averlo bocciato ma lui dice no, che è stato l’anno dopo; sta facendo un PHD in una cosa che non gli interessa più in una lingua che non era quella che gli interessò all’inizio.
C’è trippa di seitan per psicanalisi, insomma (e dove non ce ne sarebbe, poi).

Io ho dei tratti caratteristici: da due mesi tento di essere vegetariana, complicandomi intestino ed esistenza, semmai siano state separate le due cose, a casa mia; mi scoccio quando gli uomini parlano, mi annoio; avevo dei capelli bellissimi (ora meno assai); sono stata solo a scuola di ironia intensiva, non è rimasto che questo; ho eccessi di coerenza fino alla noia e sensi di colpa a go go quando non mi quadra chi sono, dove sono arrivata, dove ho messo gli occhiali.
C’è trippa di seitan per psicanalisi, insomma (e dove non ce ne sarebbe, poi).

La cena, affrettata, per impegni, prevedeva nel menu
– pasta col pesto fatto in casa con basilico arrivato da un balcone napoletano
– frittatine di ceci senza uova con zucchine farcite alle lenticchie

Allo scolare le linguine e gettarle nel pesto fatto il giorno prima, pronuncio la frase “ma le conserve fatte in casa possono sviluppare botulino” che, attraverso sms di chiarimenti con mamma di Glauco, di cerchiamolo su google, di io che rido, lui che ansia, vabbé mi lasci morire da sola, io mangio, finisce che io mangio e lui no.

Alle frittatine di ceci, nulla da dire, sono buonissime, lui mi aiuta a grattugiare nell’impasto la zucchina, tira il pippone sulla soia, la soia no, con tutti i fagioli che ci sono perché proprio il peggiore, la soia. Ma lei è vegana di qua, lei ora diventa vegana di là, io che sto ancora pensando al cosa c’entrino i fagioli con la soia, pensa, buone con le lenticchie ste frittatine e poi dal frigo esce un pezzettino di salmone norvegese. “Cavolo, lo adoro il salmone”.
Sic transit gloria veganorum.

Alla frutta, perché è da tempo che lo sono, metto in tavola dei fichi di India, li apro e mentre lui grida “no, non li tocchi” io spaff ne avevo già afferrato uno e dico “va là lo vedi che son già puliti” “guardi che han spine invisibili” “guarda che sei proprio noioso”
E comunque la letteratura è fuffa, la linguistica importante. Esci da casa mia, subbito.

…ahiiii…ahiaaaa…cerchiamo su google come si tolgono le spinette invisibili del fico d’India dalle mani. Alla frutta, Glauco mi stende del nastro adesivo sul palmo della mano e nell’incavo tra pollice e indice e strappa. “Come la ceretta, suppongo”. “Eh, ahi”

Al dolce, lui non mangia dolci, la pasticceria era chiusa, ripiega su una sacherina e due cannoli da supermercato. Lui di solito non mangia niente che contenga zucchero e che sia fritto, a me non piacciono i cannoli siciliani. Guarda Glauco che la pasta dei cannoli è pure fritta. Ma davvero? Tempo totale per una sacherina e due cannoli: minuti quattro.

Al caffé io bevo un torbato, uno dei piaceri della vita. Cerchiamo su google quali siano i piaceri della vita, ah l’odore del fieno appena tagliato, ma se soffri di anosmia?, scrivi su sto post-it i piaceri della vita allora, forza. Non arriva a due e protesta. Lo faccia lei, allora. Va bene, basta, ha finito o no di scrivere?



L’indomani un sms a Glauco racconta che il botulino risparmiommi la vita e che mi sarei mangiata pure la sua porzione di linguine col pesto fatto in casa, tié.
La risposta alla prof recitava di pentimento in corso per non aver almeno assaggiato il whisky torbato.

Siano benedette le divinità del focolare e degli ex alunni o come dice la collega e amica di sempre (forse l’aveva bocciato lei o forse è stato davvero l’anno dopo) “come te li cresci bene questi ometti” e detto da una che ti ha consegnato suo figlio al biennio…è un piacere della vita.

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#ioleggoperché. Cita un libro

Domenica, respiro, gioco.
Che si sposta qui da Gaber, con questo evocativo avatar se tagliato a metà, vincitore della settimana, condivisore di storie.

Io di storie ne faccio tante, ma a raccontarle non son mai stata brava.
L’unica storia che mi è durata e sta durando è l’infinito narrare dei ragazzi.

Non sto a raccontarvi la storia del perché ho io i compiti da fare, me li ha assegnati la classe seconda e tra questi c’è impastare il babà dell’Artusi. Non mi verrà mai bene, oggi sto babà. Ubbabbà, poi è na cosa seria.
Ma se solo dovesse davvero lievitare a puntino, sai che storia?

Così, per #ioleggoperché e per il gioco interblogghico, scelgo una storia vera, che vuole vedere la persona in viso e che per riuscire bene necessita di pazienza e attenzione. Come tutte le storie, credo. Come la storia delle storie.

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La cena palindroma

Essi sono Archie, Eno e Hosty.
Ogni tanto, sull’altrimenti noial network, uno dei tre, a turno, segnala e dice “Arriviamo, ci dica il giorno migliore per lei”.
Di solito succede perché Eno parte o Eno ritorna da luoghi esotici di barbare vendemmie. O perché anche Archie è in procinto di partire. Solo Hosty sta sempre qua. A volte si unisce anche Dotta, ma spesso fa lunghi turni in ospedale, Dotta che passava tutti i giorni a vedere come stava proffettina, quando proffettina era in ospedale.

Eno, lo dice il nome, è quello del vino. Lui dichiara giorni prima quale sarà la bottiglia prescelta e io ci studio intorno il menu. O viceversa, io lancio metaforicamente un piatto ed Eno ci studia intorno il vino.
Hosty non vuole tagliarsi il tuppo di capelli che porta in testa però è un talentuoso pasticcere. Archie beve e parlerebbe di musica per ore, con me; mi dice “lei è figlia di Cash, io dei Clash”

Stavolta il gioco ha coinvolto anche il gioco del social network.
“Oh popolo di facebook, che torta porto?”
“Pavlova, Pavlova”
“Oh popolo di facebook, quale dei due risotti sottolinkati vi aggrada di più?”
“Menta e caprino, menta e caprino”

I complementi li ho lasciati scegliere al forno che è rotto, per cui d’antipasto, con semplicità, melanzane grigliate con tanto aglio (presentate con un “spero non dobbiate baciare nessuno, stasera, ragazzi miei) e un piatto di gamberi alla piastra più mazzancolle al pompelmo su letto di frutta tropicale.

Versa il vino, Eno, e mi spiega perfettamente quale lavorazione ci sia dietro alla bottiglia. “Sa di pipì di bambino, dico senza pudore” “prof, che olfatto ha, non l’avevo sentito e pipì di gatto c’è nell’esame olfattivo”. Versa il vino, Eno.

Queste cene accadono random dal 2009, l’anno in cui, beati loro, maturarono trovandosi davanti solo per quell’ultimo anno una spaesata me. C’era questa povera quinta da assegnare, fu la mia prima quinta.
Parlare ancora dell’esame per loro è quasi tappa obbligata, a me sembra ieri, poi li guardo, sono laureati, taccio pensierosa e chiedo “ma dunque quest’anno quanti anni avete, dunque”. Risposta.
Ohssantocielo, mica capita spesso, siamo palindromi, bellezze mie.
Archie dice “allora questa passerà alla (nostra) storia come la cena palindroma”.

Post scriptum
Poi me lo dicono che qualcosa da festeggiare c’è. Eno, dopo aver inviato curricula nel nostro bel paese e risposto nessuno, bom, li ha inviati oltreconfine, appena dietro qua, neh. Risposto tutti, anche solo per dire picche, bom e grazie. Un’azienda gli ha fissato il colloquio, al termine del quale stretta di mano e bom, preso.
“Prof perché non chiede a Eno quanto lo pagheranno?” “Perché due palindromi in una serata son troppi, Hosty”.
E per fortuna che Archie ha portato anche il Braulio, vah.

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La regola della sorellanza e della torta di mele

Che il primo marzo nevichi sulle prealpi lo so dal primo marzo di quell’anno lì, che ho provato a fare i conti e mi sono spaventata. I conti non tornano (e nemmeno lo farà il marchese, di questo passo) quando hai una sorella di sette anni minore. Calcoli sulle dita e dici “azz” eppure ricordi bene quando la facevi giocare caricandola sulle gambe e facendola volare, la ricordi bene che ti si appiccicava un po’ appresso, così diversa da te, così affettuosa e dentro le cose malgrado la timidezza e gli occhi grigi. Tanto più bella di me, primula di neve. 20140301-173048.jpg
Nevica anche oggi, nevicava anche l’anno scorso. Questa è la prima sorellanza, primo marzo, buon compleanno.

La seconda sorellanza, ci spostiamo di poco, stesso cognome, e sono tre giorni che cerco le parole, e non le trovo. E non le scrivo. E non posso nemmeno farle una torta di mele, che lei preferisce. Lei, una donna bellissima.

La terza sorellanza è atipica, è sorella per proprietà transitiva, per chi l’ha persa una sorella. Un’amica che non glielo dico spesso ma la sua cucina, quando riesco a rintanarmici, è meglio di stare a casa. Le ho rubato la torta di mele, per farla alla prima sorellanza, pensare alla seconda, omaggiare lei. Lei che tra gli albicocchi e le balle di fieno mi ha insegnato quanto possiamo essere bio, bio bone.

Questa la torta, di tutte e tre.

Ho preso 800 gr di mele bio le ho tagliate e fatte a fettine sottili con la mandolina, messe in una ciotola bagnate con il succo di un’arancia, il succo di mezzo limone non trattato, più la buccia grattugiata.
Ho fatto rinvenire nel liquore Strega 100 gr di uvetta bio
In altra ciotola ho lavorato 50 gr di farina integrale di segale biologica, 50 gr di farina 0, 1 uovo, 1 pizzico di bicarbonato, aggiungendo poi latte di soia in quantità tale da avere una pastella di consistenza un po’ collosa
Ho unito alla pastella le mele incluso il succo e l’uvetta invece strizzata.
Ho girato bene l’impasto, aggiungendo cannella, curcuma a piacimento.
Ho versato il tutto in una teglia rotonda a forma di fiore precedentemente imburrata e cosparsa di pangrattato
Ho inserito con le dita nell’impasto dei bastoncini di zenzero candito, cosparso di zucchero mascobado e polvere di liquirizia (poca).
Infornato a 160′ gradi per 75 minuti.

Tutti gli ingredienti biologici provenivano da un cesto, dono speciale di un altro compleanno, il mio. Perché sorellanza e torta di mele chiudano il cerchio.

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