…scagazzato.
Vuoi non andarci a vedere il film che ha vinto il Leone d’oro? Vuoi non portarci anche Brenda, la cara ragazza Brenda e pure Silvestro quello che oramai presento a chi non lo sa “lui è quello del cinema”?
Come si scrive la recensione di un film come questo: vademecum (e anche un po’ vaderetrum).
Si prendono aggettivi quali “onirico” “grottesco” “surreale”, li si mettono nel mixer con “geniale” e “visionario” riferito al regista e ci siamo quasi.
Il film l’ho capito eh, che critica la guerra, che critica i tic di connessione dell’homo sapiens, e lo fa con intelligenza, però io, che sono abituata e amo i film cortocircuitali e i pezzi di teatro interminabili e barocchi, io ho fatto fatica a digerirlo il film. Brenda ridacchiava, Silvestro era dai tempi di Lars Von Trier che non andava a comprarsi la coca cola con la scusa del caldo e mi chiedeva indietro il prezzo del biglietto che peraltro, Silvé, ho pagato io, caccia la grana, pliis.
Però mi è piaciuto lo stesso, che son storta, come con gli amori, più l’uomo è indigeribile più mi piace lo stesso e da qui, come dai film, nascono un paio di problemini seri che tenteremo di non risolvere, tanto, che tento affà.
Nella claustrofobia di una Göteborg gialla, nel trascinarsi dei disadattati protagonisti, di valzerini monchi a contrasto, tormentoni telefonici, di re capricciosi e checche, il film di Roy Andersson è un inno alla vita, cammeo dopo cammeo, vita che si affaccia alla finestra, che si insinua tra le porte chiuse, fa le bolle di sapone, il solletico sotto ai piedi del bebé.
Insomma alla fine sull’esistenza rifletti e sì, sono tanto contenta di sapere che state bene, sì ho detto che son contenta di sapere che state tutti bene.
Con questo post faccio da spalla indegnamente ai LUNEDÌ CINEMA di Iome