The way we were

Succede che tutto sembri sgonfiarsi loffio come una bolla fatta col chewing-gum, succede che alla tivù a giugno diano vecchi film e tu ne hai mancato uno, del 1973, e decidi di vederlo proprio adesso, convinta che sarà un classicone, un riempitivo.
E ti trovi a vedere invece un pezzo di te. Proprio tuo, che ci avevano inventato prima di noi, io molto Cathy tu quasi Hubbell.
Ma quanto faccia poi bene piangere con un film, quanto, che meraviglia.
Entra nella top-ten dei miei film della vita. O è un capolavoro o sto semplicemente davvero invecchiando.

“Tu non molli mai”.
Come eravamo. Così.

Certe mattine

Le mattine di giugno, quelle che respiri dai pori, dall’inguine, da squame.
Quelle che basta una canzone di renato zero dalla radio attutita del vicino di là dal ballatoio, per riscrivere il passato, o almeno ripasso, di maturità.
Le mattine che il caldo preme alle persiane, o è la pioggia, come oggi
Le mattine che di solito ne ha fatte tante nel mio letto, il frequent flyer (a notorious liar) e ti pare che i fantasmi ancora sappiano russarti a fianco
Le mattine in cui pare sempre che hai appena terminato o cominci a farci l’amore, le braccia si sentono all’incavo di recenti carezze
Le mattine pigre che sono le otto, uguali alle nove, uguali alle undici, il tempo è pigro e inesistente
Le mattine che sei al lago, il lago piove ma di sinestesia è come fossi al mare, stesso umido odore
Le mattine del copriletto di raso lucido bianco che la prima volta che lo vidi dici bleah, poi lo riguardi, e dici nonna, poi non lo guardi più, si è fatto perfetto perfino se ci si accoccola il gatto
Le mattine che non andresti a scuola mai, che ti alzi, giri la moka come una boa e ritorni
Le mattine con lo spiraglio del bosco verso il quale dormi
Le mattine che una telefonata ti cambierà l’estate e te la lasci cambiare, speranzosa che a un cambiamento ne segua un altro, gioco di pieno vuoto pieno. O una sottile nuova capacità di leggerli nel poco, i cambiamenti
Le mattine che capisci, è vero, ami chiedendo e condizionando. Ti odi per amare così, le mattine del quieto mica tanto,casino dentro

Le mattine che il tuo corpo, il tuo corpo, riparti dal tuo corpo, è con quello che non ci senti mai, il corpo è dove inizi l’universo. Il corpo, non la testa.
Respira, respira, re-spi-ra. Ama.

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Tussit

Ho finito le incombenze dell’esame di stato strisciando ché a quanto pare soffro di asma allergica, tossisco fino alla nausea nei corridoi. I maschi alfa si sono placati, i temi dei ragazzi sono stati soddisfacenti, ho avuto modo di capire, per l’ennesima volta, quante personcine inadatte a fare l’insegnante finiscano nella scuola che fuori sarebbero cani bastonati.
Di ambito scientifico sono troppi, a mio avviso. Forse sognavano di fare l’astronauta, poverini. E ora lo sono davvero, senza gravità.

Ho qualche linea di febbre, qualche linea di cattivo umore, qualche linea di inventario da fallimento, qualche linea di innamoramento, nessuna più linea se parliamo di girovita, allora parliamo di giropizza?

Ho passato qualche splendida serata di prati, lumini e sigari fumati in pace colla luna; non riuscirò a recarmi nella bellezza dell’Ascona jazz e per me non é giugno se non ho quelle piazzette sul lago piene di jazzisti, piene di new orleans.

Ho un qualche di ogni cosa e un qualche di niente.

Insomma non si capisce che cosa abbia io di interessante. Che cosa dunque di me può piacere o esser desiderato? Ho la tosse.

Come i pini di Roma

Tra qualche minuto chiuderò il gruppo Facebook di classe, lo chiuderò perché é finita, per correttezza non solo formale, dopo aver detto sì portatevi l’acqua, sì certo che la tesina va rilegata sì la penna puoi portarla, sì va bene il file di power point.

Manca “mettiti la maglia di lana” che dato com’è scoppiato giugno proprio non è cosa, e sono patetica.

I Latintristi escono dal liceo e io sono patetica, peggio della solita nota canzone del titolo che poi qui niente pini niente Roma.

Intanto, per cominciare, la seduta di insediamento commissione faceva già le bollicine. Super Capode’Capis, nonché presidente cui devo idoneità del ruolo e primo vero complimento alla mia professionalità ma anche tanti bei fervori e testa a testa, ha già cominciato a battagliare.

Mentre tutti in silente osservazione incassano, gennara, che conosce, fa buon senso a zelo di cavilli, fa buon viso a in fondo ottima sorte, mentre collega Snobbyzen fa zen e ride di me per me con me.

Mentre capode’Capis mi vuole espertissima di DSA, di leggi sui DSA, di leggi sui DSA che contraddicono leggi sui DSA, mentre mi vuole esperta di informatica, espertissima di programmi che vanno a carbone, espertissima di verbali e io rispondo sisìsisì “come tu mi vuoi” espertissima di tuttoagratispuntocom e gli altri invidiano, lo so, che tengo testa.

Mentre sbotta e dice “non sei cambiata per niente gennara, ti ricordavo rompiscatole e rompiscatole taleeqquale sei rimasta” e io dico “noooooo, che peccato, speravo di essere cambiata e di esser rompiscatole ma molto ma molto di più di quando i nostri battibecchi uscivano dalle mura della presidenza”

Mentre gli altri alle undici dicono “abbiamo finito io vado” e se ne vanno, io resto, convinco il programma web a partire, faccio i verbali di entrambe le commissioni, resto fino alle tredici, da sola e capode’Capis dice brava, non preoccuparti per i tuoi ragazzi ché hai già tirato fuori le unghie, lo vedo, brava, speriamo però che non sia questo l’andazzo, che quando non ci sarai tu le cose qualcuno le faccia.

…la vita non li spezza…

Mmmmhh, che patetica.

l’amore fa l’acqua buona

Assente dagli schermi, mi sono sfilacciata poco poeticamente in tempo tra scartoffie, quelle che i colleghi sanno e anche quelle che i colleghi non sanno.

Mi sono sfilacciata anche alla cena coi Latintristi e l’ultimo sabato del loro liceo (il loro, roceré, non il tuo, lo capisci?) che quasi non passavo a salutarli tanto poi vi vedo, il diciannove, esce Pirandello, temo. Talmente sfilacciata che sto ancora leggendo la dedica su un libro, guardando le foto di chi l’ha voluta tenendomi in braccio. E in sala docenti che se vedo piangere la collega di fisica piango anche io. La campanella era suonata, l’orologio staccato dal muro (gli arredi, pure gli arredi se li portano i docenti da casa) e quello che con te, per vie traverse, s’è fatto cinque anni davanti a tutti dice che si ricorda com’eri vestita il primo giorno, e che dissi, come presentazione “guardate bene il vostro compagno di banco perché l’anno prossimo non ci sarà più”.

Esco dai corridoi con quell’idea che dopo i Latintristi, ora posso davvero cambiare lavoro. Senza di loro senso non ha. Dura mezz’ora la sensazione, che sui tabulati dei Comeback, lacrime e sangue, letture estive, saranno loro quelli di dopo.

Domani finisco lo scrutinio e prendo un treno che porta a ciottoli levigati. Lo faccio di straforo, sbaglio ma ci sono errori necessari.

Ponci mi spiega di una “pecca ffortunata che il galleggiante, zia, tirava dotto e io di trota ne ho preda una tola, perché l’altra di è dlamata ma in quel laghetto, zia, ci dono anche i lucci e i pettici che mamma fa il ridotto coi pessici, zia” A Ponci mancano solo le esse ma ha una buona presa e possesso del linguaggio specifico della disciplina. A me non manca nulla.

La commissione sulla carta sembra quella che farà un buon lavoro, un sabato di otto giorni fa che sembran mesi sono andata a dare il benritorno a una ragazza che tornava dalla città gemella, ci tornava con un cognome gemello, con un incorcio di sguardi sulla strada, non era un sabato qualunque, non era un sabato italiano. Ma il peggio sembra essere passato.

Infatti nella casella di posta elettronica trovo questo “ATTENTION! The travel authorization submitted on July 6, 2011 via ESTA will expire within the next 30 days. It is not possible to extend or renew a current ESTA. You will need to apply for a new ESTA. Please reapply at https://esta.cbp.dhs.gov if travel to the United States is intended in the near future. If there are 30 or more days left on the old authorization you will receive a warning message during the application and be asked if you wish to proceed.”

Quando ti scade l’ESTA, puoi estartene qui, Esta tié.

Insomma quasi quasi quando non scrivo vivo e metto della parole adeguate alle cose che poi somigliano di più all’amore che fa sagge le donne, perfino me. Tutto quello che ho, mentre lancio un ciottolo levigato a mare, per tutti quelli che incrocio nel male e nel bene. La seconda che hai detto.

Se ci siete, grazie, un calice.

Orali. Rapporti.

Che poi presiedi una commissione che la devi contenere. Che si ride, i corridoi sono pieni delle tue risa. Che mangiamo, che si beve, che non si sputasentenze. Che c’è stima di quella non ipocrita, tanto per dire e ne avevi un bisogno. Che avere quel potere decisionale, come al solito, ti solletica un po’. Va bene, ammettiamo, più di un po’. Che sentire l’armonia è bellissimo, se lavori coi ragazzi, ma che come sempre, parte dagli adulti. Che in un gruppo di lavoro (ma anche esaminandi) gli uomini son uomini, e le donne, donne. Ah, madame la Président de La Palisse. Che ti porti a casa un pezzettino di una tesina, che questo non te lo immaginavi proprio, che la smonti la tesina e la candidata, le chiedi la firma, sia mai sia famosa un giorno, tu hai un originale. Che sto imparando molto e che la mia bestia nera, svogliatissima, inutilissima, resta la fisica e Ohm e l’elettroscopio e quelle cose lì, di nuovo liceale, insomma a dirla tutta

“yesterday all my troubles seemed so Faraday….”

GG e la spiaggia

Che GG non è la Gatta Gennara come qualcuno mi abbrevia. Ma era l’urlo all’unisono con i fanciulli più giovani già arrampicati ai ferri della tensostruttura. Era Gigi-Gigi-Gigi scanditissimo che quel rigore ce lo doveva parare e l’ha fatto, il nostro Gigi Buffon e da lì il boato che c’ero in piedi anche io tifosa tutta diesel che parte pianissimo e poi si armonizza con tutta la variegata popolazione del maxischermo sulla spiaggia.

Che è un appuntamento che sa di molti giugno il maxischermo sulla spiaggia e soprattutto la SUA spiaggia, la spiaggetta dei pesciolini fritti, che era iniziata con l’incontro di vecchie glorie e il riassunto di tutti i bambini nati e nascendi, certo, il solito conteggio infame che le viene voglia di urlare. Ma su quella spiaggia, la SUA spiaggia, il luogo che avrebbe rimpianto più di tutti, se lo diceva durante gli esercizi di abbandono, gli esercizi di emigrazione, stasera c’era anche l’orchestra, alle spalle dello schermone. Di quelle orchestre luccicanti che fanno il liscio e il capo orchestra all’intervallo diceva la facciamo una mazurca e tutti a urlare NOOOOOOOOOO sulla sua spiaggia, quella del quante volte t’avrei portato lì, amore.

La gatta Gennara quindi aveva Italia-Inghilterra davanti e l’orchestra di spalle e si è girata che il liscio le mette sempre allegria, che il ballerino si è perso ma di ballerini si sa, ce n’è in gir tanti che quando le tornerà la voglia, ballerà. E poi i supplementari e l’orchestra abbattuta, rassegnata ai lustrini in silenzio e poi i rigori perché non fosse una vittoria di Pirlo, perché dai Diamanti non è vero che non nasce niente, dai Diamanti nascono i gol.

GG, GG, GG, il boato e io ci tenevo di vedere un’altra Italia-Germania che per noi nostalgici sarà sempre un quattro a tre. E poi tornare verso casa, defluire al buio, lasciando alle spalle la spiaggia, dove un cabinato se ne stava a riva e gli ospiti sciabordavano a salirci, l’acqua di notte è calma, le luci della sponda opposta chiamano un giugno più leggero, il sentiero era solo sillabato di lucciole, di rane, di tutto questo mio lacus amoenus.

GG e la spiaggia. Dovevamo vincere. Con rigore.

 

p.s. ha ragione lei, che il calcio sa essere salvifico

a stare al mio post

Per un docente non c’è nulla di meglio (o di peggio) che essere chiamati a partecipare alle commissioni d’esame di stato in qualità di esterno per vedere o rivedere persone. Amici, ex-amici, conoscenti, colleghi da una scuola all’altra, ma tu che ci fai qui, utilizzo, assegnazioni burocratiche trasferimenti cose così.

E questo capita a me in questi giorni.

Cronachetta, dunque.

Un’amica di una ex amica mi dice seduta al tavolo dei lavori “ma dai da quanto non ci vediamo io e te. Molto e intanto passo in rassegna i tempi del mercato del pesce (il conferimento delle supplenze ai precari in provveditorato- per i non addetti ai lavori- ) quando si è tutti amici e lo si finge bene, numeri di telefono che poi ti avviso eh e tu fammi sapere e già ce n’era una che la maratona dell’amicizia telefonica te la faceva da maggio al primo di settembre, poi spariva inghiottita nel silenzio della supplenza mal ottenuta, poi sparita per sempre il giorno che tu entrasti in ruolo e lei no. La grande colpa dello spezzare la catena della solidarietà.

E ce n’era un’altra che invece ci avevi scommesso che ti era amica. Sabatina. Ci siamo raccontate tutte, io e Sabatina. Lei di tutti gli amori che scorrevano veloci a quel tempo, io dei miei viaggi spartani e buzziconi fatti perché di amori a me ne scorreva sempre uno solo uno alla volta uno che poi non passava mai (taleqqualeadesso nzomma). Sabatina non si muoveva da casa e io pensavo non le piacerà viaggiare. Sabatina che mi invita al matrimonio con l’extraterrestre che dice un figlio lo faccio nel 2011 e prima comincia a viaggiare, come un’ossessa accumula i punti fedeltà dei Tour Operator più in voga e dice vieni a vedere le mie foto. Poi mi dice Sabatina, finalmente, non ne potevo più di non potermi muovere, quanto ti invidiavo, volevo stare al tuo posto,  anche se a me i tuoi viaggi senza prenotazione mi fanno schifo nelle case della gente non ci andrei mai, fuori dal villaggio non ci andrei mai, ho paura. Sabatina mi chiamava solo prima di un viaggio e dopo di un viaggio. Vieni a vedere le foto. No, Sabatina, le foto della festa in maschera sulla nave non mi interessano. Dopo una crociera sul Nilo all inclusive, Sabatina sparì dalla mia vita. Per scelta, ormai era al mio posto, non servivo più.

La sua amica al tavolo dei lavori mi dice sai che Sabatina ha avuto un bambino. Che bello, ho detto senza alcun entusiasmo reale, un maschietto e lei dice sì ad agosto fa un anno. (Certo, in programma per il 2011, effettuato nel 2011). Nemmeno una fitta al cuore nel sentire come funzionano bene i viaggi organizzati altrui, nemmeno per un attimo ho detto vorrei stare al suo posto. A casa mi aspettavo le mie nostalgie, il mio adesso la cerco la chiamo, mi sei mancata Sabatina, perché son fatta di questa materia qui che ama così attaccata allo scoglio che manco i malavoglia. Ma nessuna malavoglia mi ha preso. E’ il rispetto delle scelte. Hai scelto di lasciarmi al mio posto. Là sto.

Aggiungi un posto al tavolo. Al tavolo dei lavori, intanto, c’è pure qualcun altro che anni fa avrebbe voluto prendere il mio posto e mo’ questa burocrazia un po’ glielo permette, un acchito di celebrità didattica. Che se lo prenda, è un quarto d’ora. Warhol santo subito. E poi ci sono io che a tratti so stare al mio posto, a tratti no, a tratti devo imparare a mettermi al posto degli altri.

Così la telefonata, oramai scontata del sabato mattina, dalla scuola in cui ho un posto che non ho occupato mai. Professoressa le comunichiamo la sua sopravvenuta soprannumerarietà. Soprammobile, usatemi come. Ancora. Sono perdente posto.

Dice quella in me che è madrelingua: mo’ stamm’ a ppost.

pronto? non ero pronta

Me l’avevano detto, di non rispondere al telefono la mattina del diciotto giugno.

Putacaso il diciassette mi addormento antelucana e insonnolita squilla che erano già le dieci e trenta di mattina e io stavo ancora dormendo, riflesso condizionato condizionatissimo il braccio esce dal lenzuolo si allunga sull’ esse62 (modello scampato alle epurazioni telecom) acchiappa la cornetta e dice sì pronto? e mentre dice sì pronto sente la voce del proprio vicepreside e capisce che no, non doveva rispondere al telefono.

Lì parte un braccio di ferro vocale con il capo dei capi delle maturità che dice ho bisogno di te- ma no non l’ho mai fatto- è un’esperienza vedrai sarai all’altezza, pronto? non sono pronta ma quello di là al doppio telefono all’altro capo già diceva vi ho trovato la persona giusta. Aahahahahahaha.

Ne avrò fino al 9 di luglio, le Baleari sono isole più lontane oggi, ma sono in una scuola bellissima, perfino i muri mi sorridono e mi fanno ciao che nemmeno le caprette di Heidi nei giorni migliori. A mezzodì entrai umilerrima in una stanza piena di arte alle pareti dove da quattro ore otto persone aspettavano la salvezza. Ahahahahaha.

Buongiorno, scusate il ritardo, stavo dormendo, quand’ecco che rispondendo un po’ assonnata al telefono, sono il vostro “Presidente”. Ahahahahahahahahahahahah.

Presidente. Ahahahahahahahaha.

pane e provincia

Sono ventuno, c’è anche quello non ammesso agli esami, in terrazza. Arrivano tutti, anche i due in ritardo che tu ci facevi i soldi che erano Tontolo&Tontolo a non trovare il centro città. Anche il fuoriuscito in fuga, rifugiato alla privata, c’è. E mi è mancato, negli anni. Era il sorriso più pronto. Li hai sentiti tuoi per tre anni mentre loro hanno smesso da subito di sentirti loro. Avevano i lineamenti da bimbi quando tentavi di convincerli che studiare non era poi male, vi siete rivisti di recente in foto, erano buffi, così piccoli. Stasera li guardi mentre accendono il barbecue, affettano il pane, cose così. Simpatici no, non li puoi definire così. Così chiusi, cresciuti a pane e provincia, che Pasolini non l’avevano sentito nominare ma che a quasi vent’anni sanno i nomi dei Teletubbies. Risento per tre anni l’influenza delle loro famiglie, diffidenti, poco collaborative, tra borghesiucola e parrocchietta.

Li guardo. Simpatici no, diffidenti, poco collaborativi, un po’ ipocriti quando non falsi, rinunciatari, bambini. Le ragazze stasera, sdoganate le All star del mattino, hanno scarpe alte, sono finemente truccate e vestite. Sono bellissime. Hanno la bellezza degli anni che arrivano, dell’amore che han già fatto, resta solo da rifarlo e capirlo. c’è tempo. Hanno il corpo di chi può splendere tutto nell’estate.

Quello che so, che ho cercato di trasmettere loro, quello che mi sono conquistata lottando da quando io ero loro adesso, li ha allontanati da me, anno dopo anno. Ho fallito e il doppio di anni non è scritto solo sul viso che si segna ogni giorno.

La collega 666 mi ha appena chiamato asociale dalla terrazza. Ora vado, li raggiungo. In terrazza il prosecco è pronto nel bicchiere di carta, affettano il pane, qui in provincia.