Veni vidi Fiji

 

È partito il 30 ottobre di mattina da Los Angeles

Il 3 novembre di mattina era a Singapore
Il 3 novembre sera era alle isole Fiji.
Io nemmanco saprei bene dove si trovino le isole Fiji, negli anni ottanta credo si trovassero sulle etichette palmate dei bagnischiuma. Però a saperlo ci andavo io alle isole Fiji direttamente a prenderla l’ordinazione.

Il 3 novembre alle Fiji. Dall’aeroporto isolano tocca terra di Milano, sto pacco, l’8 di novembre, data dopo la quale di sto pacco nulla si sape. Quelle delle sparizioni non erano le fiji però, ma le bermuda, credo.

A questo punto il pacco che a Milano sparisce diventa oggetto di conversazione familiare. Sorella di roceresale che lavora oltremodo nella logistica chiede cosa ci sia nel pacchetto, ha l’aria di essere un problema doganale, dice. Alla risposta di cosa contenga, dice solo “cretina di sorella col cervello al diuti fri, spera non ti facciano pagare millemila tasse per averlo”. (Le conversazioni familiari son sempre belle quando ci si vuol bene).

Eravamo quindi all’8 novembre. A un mio messaggio mail all’azienda (inglese, ndr) azienda, come la sapesse lunga, risponde laconicamente “non si preoccupi, deve solo aspettare che le Poste Italiane consegnino il suo pacchetto”
Infatti il pacco riappare sui tracciati delle poste italiane il 17 novembre; per cui riassumendo in tre giorni e mezzo si trasvola California, Singapore, Fiji.

Poi arriva in Italia e segue tale tracciato, veritiero, lo giuro:

17-11-2015 9:00:00 in lavorazione presso Centro Scambi Internazionale – Centro Scambi Internazionale

17-11-2015 10:06:29 avvio della spedizione – MI

18-11-2015 04:46:00 in lavorazione presso Centro Scambi Internazionale – Centro Scambi Internazionale

18-11-2015 08:11:29 in lavorazione presso il Centro Operativo Postale – MI

18-11-2015 12:08:35 in lavorazione presso Centro Scambi Internazionale – Centro Scambi Internazionale – Centro Scambi Internazionale

20-11-2015 5:30:24 in lavorazione presso il Centro Operativo Postale – Peschiera Borromeo

22-11-2015 23:57:40 in lavorazione presso il Centro Operativo Postale – MI

23-11-2015 14:17:56 in consegna – XXXXXX (verde provincia)

23-11-2015 08:11:29 in lavorazione presso il Centro Operativo Postale – Xxxxxxx

24-11-2015 11:01:16 giacenza presso il centro operativo Postale- centro operativo postale di Viadellago

24-11-2015 11:01:55 in lavorazione presso il Centro Operativo Postale di Viadellago

Mi presento in posta a viadellago e dico “mi chiamo roceresale, son qui per prendere il pacchetto” “mmmhh, come ha detto che si chiama?sicura?ha ricevuto avviso di giacenza? Sicura?non è che per caso ci sarà qualcosa da pagare?(Cazzarola, diglielo poi a sorella logistica)… Da dove viene il pacco? Ah sì, dalle Fiji…

24-11-2015 13:21:52 consegnata – ufficio postale di Viadellago

Chi viene alle Fiji?

Mettiti in moto

Dai, mettiti in moto, è il 21 solstizio anzi no equinozio. Infatti le notti non sono eque affatto. Terminano in fretta.

Ho preso male il rientro a scuola, forse perché pensavo di non doverlo fare, forse perché era palese che in alto ne avrebbero fatto poi a meno del mio ritorno, forse perché il caos che regna all’istituto durocome mi opprime, forse perché della fatal quiete sono inquieta.

Dai, mettiti in moto, la quarta, la nuova terza, la prima più numerosa. Dai, prof, alla prima settimana già una defaillance alla prima ora, cattivo esempio che sei, nel caos. Però la prima settimana, versione in terza, versione in quarta, ingresso di logica in prima e Ventodi(sup)ponente, sempre più carino sempre meno in vena di studiare chiede se a questo ritmo coi voti a metà novembre possiamo stare già tutti a casa. Mettiti in moto, bellezza, anche tu.

Dai, mettiti in moto. L’ho goduta fino all’ultimo secondo sta estate sorniona, fino all’ultimo mercoledì.

Mi sono messa in moto, la moto si sa rende liberi, imparare a liberare bene il mercoledì è un’arte. Mi son messa in moto per raggiungere le mete dell’Italia che io chiamo minore e minore non è. Regala scorci di grande bellezza.
A me dona sognare di vivere ovunque, col lago negli occhi. Che è uno dei due sogni che posso anche da sveglia. L’altro…ah l’altro…

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Mi manca un venerdì

Al bianco frizzante si era in un vicolo all’ombra della città dei gelati, pensa che bello una città e una gelateria procapite. Eravamo lì, zuppa di pane, seppioline, storditi ancora dalla notte del rito pagano, del rito sciamanico del nostro Nick Cave.

Due ore dopo una lontana, non troppo, aria di mare in città, pensa , che bello, una città e mare e fiume, faceva un caldo porco e l’amicizia stendeva pizzette torte di riso e due, dico due, bottiglie in tre. Una in mio onore, falanghina.

Due ore dopo guardavo il fiume e un levriero afghano, l’eleganza dei levrieri afghani e di quelle bevandone con la mentuccia dentro. Non dirmi che ne berresti un altro, certo che sì, il secondo giro è il mio, molla giù, mentre il tramonto dorava sogni di chiatte sul fiume. E dorava il frittino, eh.

E l’amicizia. Che ha tante sfumature, che quella che mi piace di più ormai non parla neanche piú, ascolta, ascolta chi non deve per forza raccontare una storia dall’inizio. Si può partire a metà, si può guardarsi e basta. Volete stare qui o vi fo andare sui gomiti in stazione? La prossima volta, sto, sto su sto lungofiume così leggiadro.

Reggi eh, te, quali sono i versi più belli della letteratura italiana fatta eccezione per le terzine dantesche eh, com’ero convincente, pupille dilatate e fresche le mia parole ne la sera ti sien come il fruscio che fanno le foglie. Di menta nel mojito.

E l’amicizia, andate e ritorni, andate tutti dove vi pare, con chi vi pare, andate e tornate e raccontate ma fatelo in silenzio, per meraviglia, non per segnare un territorio. Se volessi un cane, forse vorrei un levriero.

Un’ora dopo nella città del gelato dolce e dei grandi concerti non è che si possa andare a dormire senza la finocchiona e un rosso di Lucchesia, che rosso sia. Che notte sia, keep on pushing it.

Push the sky away.

Grazie a chi c’era e che sorride e che carezza le dita su biglietti di concerti, a chi ha la regola se sono amici non meno di due, (bocce), grazie.
Grazie a una regione che se la prendi per angoli, è ancora sincera.

Ps. Ellosò che manca il referente, amica di animo zingaro, ma se ne trovi un zichinin è tutto per te. Mi mancava, un venerdì. Così.

non siamo Capaci

Ultim’ora

Ad una giudice dai capelli rossi sono arrivati dei proiettili via posta.

Rosse le mani del nero davanti alla telecamera, un dinoccolato inquietante.

Un milione di euro di TFR, mentre qualcuno fa il TFA per stare precario. Da ragazza guardavo l’NBA, c’era un giocatore bianco, basso, se basso era o era relativo.

Ad una giudice dai capelli rossi recapitano la posta, poi ragazzi vestiti di bianco che scendevano al porto, nati l’anno in cui son nati i miei, di ragazzi, che oggi ridevano tanto sentendo che la donna che ami è una lunga cagna, una pecchia, una pavida coniglia. Facevano ridere pure me.

Le mani rosse del nero e un moncherino agitato contro il nemico, cosa c’entra il nero, niente, forse, solo che un attentatore di quella famosa data di metà settembre alla scuola del monco ci è andato, una volta.

Se un giorno un mio alunno dicesse “cagna” alla sua donna, una volta è stato a scuola da me.

La giudice dai capelli rossi ha ricevuto una lettera con dei proiettili oggi, 23 maggio, mentre una scarpa in primo piano sotto i cartelli dell’autostrada e pietre divelte, ovunque. Ragazzi bianchi e al senato a commemorare un uomo che di cognome non fa magro. I miei ragazzi nascevano dopo, io c’ero a vent’anni, maggio luminoso, il dopo esplosione su tutte le tivù, al bar dove inseguivo il bellissimo milanese da sbarco di cui mi ero invaghita, un coicanomane, credo ma ho tirato le somme più tardi. E poi era di quella milano che commentava “si ammazzassero tutti tra loro”. Convinto che Cosa Nostra fosse loro.

Non l’ho più visto, non lo riconoscerei, chissà quale milano da bere se l’è mangiato. Di sicuro avrà votato vent’anni per il nemico di quella giudice coi capelli rossi che si vede eh che fa per antipatia, che non l’ha letto Tacito lei, sine ira et studio, che oggi ha ricevuto dei proiettili di anniversario.

Pedala!

Corrono le biciclette da quando eri bimba, e il tuo babbo lo ama il giro d’Italia e l’odore era quello del maggio, dello spolverio di luce dalle tapparelle abbassate, difendersi dai primi caldi, per vederli bene i corridori, alla tivù. La voce del cronista, non più la stessa, pomeriggi lunghi; leggevo Topolino, Gimondi (ce l’avevo anche alle biglie, in colonia); poi leggevo Piccole Donne, Saronni e Contini, poi le poesie di Piumini, Moser; poi con un salto profondo, leggevo il manuale assurdo di letteratura greca, e già dimenticavi i nomi, Fignon, Indurain, fino addirittura ai temi da correggere, ieri, ma l’odore di maggio passa dai raggi di bici e dal non disturbarlo, il babbo, a maggio.

Oggi, I pedalatori con la neve tradiscono il tempo, il piccolo di casa che in casa grida “il gruppo, si stacca si stacca, vince quello giallo, nonno”. Maggio ma odore di neve. Roba pesa, gennara. Pedala pedala gennara, l’hai voluta la bicicletta e ora pedala.

Ho pedalato in salita, ho fallito un paio di cronometro, ho indossato la maglia da vento rosa, che giorni appiccicati di caucciù per ora non sono, saranno, prima di sedermi in cima a un paracarro. Sì lo so sono scontrosa, o forse ho solo voglia di fare la pipì.
La fo, poi tornerò sul divano, in silenzio, col babbo, che a maggio va cosí…

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Microcosmi

Ci risiamo, mi succede tutte le volte. Là fuori scoppia una bomba e io mi dico quanto è giusto che viva come il giorno prima. Che devo fare un po’ di pulizia in cucina. Metto a posto i cassetti o gli scaffali. A Boston muoiono delle persone, un bimbo, anche, ed è aprile, ho i test su Catullo, l’asfalto è insanguinato. C’è un turgore retorico mediatico, io devo partecipare?
Io, nel mio microcosmo. Dallo scaffale saltan fuori dei chiodi di garofano e delle bacche di ginepro del 2007. Dicono le spezie non vadano a male mai, ma io le butto lo stesso, neanche avessi urgenti brasati. Lo stesso giorno in Iran un terremoto, i primi dati dicono 80 persone, il turgore retorico non c’è, devo partecipare? E morire a favore di telecamera è un po’ diverso che farlo in Iran al confine di là, almeno terremoto fossi almeno andato a Isfahan, dici che qualcuno ti avrebbe contato i morti, Firenze d’Oriente? Nello scaffale i barattoli sono uguali, per distinguere la maizena dallo zucchero a velo mi tocca assaggiare in punta di lingua. Siamo tutti bostoniani, o perlomeno mezza feisbuk lo è, iraniani no, sia mai. Io, nel mio microcosmo, senza un presidente della repubblica, nei cassetti e nello scaffale otto noni di quel che c’è è da buttare e mentre butto stavamo alla Bonino e al turgore retorico di feti presunti di settimane presunte che se la voti viene ad abortire anche te, dallo scaffale spunta anche dell’erba che non ricordo più che sia, malva, uva ursina per i dolori mestruali, nemmeno ne soffro, so solo che non è maria, di certo, ho regole, poche, una è non mischiare le cose dei dolci con quelle salate. Poi nel microcosmo ho perso il conto, perfino primavera si è fatta estate è grandinata ed è tornata indietro, dallo scaffale della cucina non passerò agli armadi. Non ho magliette merdose da indossare, né cognomi che non vorrei sentire, nel microcosmo. È tornato anche l’amico della frittola (per ricordarvelo) non l’ho incrociato, ha lasciato un biglietto pietoso incastrato alla porta sul quale ho segnato un numero di telefono, o l’ho buttato, scheda bianca, tanto è uguale, tanto vittimismo conteneva, il biglietto. Io, nel mio microcosmo di sinistra. Nello scaffale di sinistra. Si è fatto vuoto. In quello di destra, boh, si pulirà.
Non credo il mio sia qualunquismo. Se lo è, oggi non ne sento la colpa.

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Di liquirizia e carabinieri

Una passione insana spropositata, berresti liquirizia purissima, mangeresti qualsiasi cosa con retrogusto di liquirizia, vuoi fare il risotto alla liquirizia, da mo’ che lo vuoi fare, ce l’hai in testa, solo non capivi come fare, l’ingrediente da aspettare.
Anche il nome, liquirizia, ti suona come di un piacere infantile, sereno.

Metti piede da un’ora, nella piazza della cattedrale, e la cattedrale, quella cattedrale è bella, ma tu sei alla seconda bottega, di liquirizia. Da due ore sei in quella piazza quando sul cellulare appare un prefisso nemmeno tanto strano, locale ma è due ore che son qua, se nemmeno ancora io so di esser qua, non può essere nessuno che lo sa. Mica rispondi fino al terzo insistente tentativo, sarà cosa, sarà il caso. Pronto, signora, carabinieri.
Azz e mo’ c’agge cumbinat?
Lei ha fatto per caso denuncia di smarrimento di portafoglio? Mah, no perché, lei signora è fortunatissima, e intanto apro la borsa e dico, buongiorno, è vero, mentre sposto sacchetti di liquirizia, ora mi accorgo di non averlo più, dico loro arrivo e intanto dico magari è carino il carabiniere del paese della liquirizia. Che poi, i gessetti, avete presente mozziconi di gessetto da scriverci alla lavagna, professoressa? Quelli, sacchetti di gessetti, ma è liquirizia. Il carabiniere è carino, tutta la stazione è lì con me, mi spiegano come han fatto a reperire il numero di cellulare, mi dicono ma difficile, signora, dalle ricevute, rintracciare una traccia di lei.
Penso alla tessera del folk club di torino insieme al passaporto, penso a bologna, penso a cesenatico, penso sarò apolide, no solo ex cazzeggiantibus, spero tra me che non abbia visto, il biondino, quanto spendo di ceretta. Ma dal sorriso luminoso che tiene, il biondo in divisa, ha visto tutto (tranne la ricarica bancaria del telefonino con tanto di numero sennò mica chiamava i carabinieri di mezzo varesotto, il biondino).

Sono la distrazione del giorno, alla stazione dei carabinieri, e anche io, devo dire, mi sento bene con una colomba e un vinello in pacchetto da regalare alla signora della liquirizia che ha trovato il portafoglio e l’ha consegnato ai carabinieri. Che fa uno sguardo strano quando le porgo il grazie, gli auguri il sacchetto e stupita dice “forse dovremmo volerci tutti un po’ più bene”. Ehhhhh…

Io non lo sapevo che era il paese dei carabinieri carini e della liquirizia sennò ci restavo.

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voglio una pelle splendida

UNO. venerdì 1 marzo, treno regionale, all’altezza della stazione di Busto Arsizio, ore 18.00, luce che cala, qualcuno legge nello scompartimento, abbiamo i cappotti, non funzionano né luci né, ovviamente, riscaldamento. Su questa linea, capita una volta su tre, non ci faccio più caso, la mia stazione non è provvista di biglietteria aperta né, ovviamente, di biglietteria automatica (anzi c’é ma sigillata perché rotta, da sempre). Io salgo senza biglietto, sempre, poi passa controllore, taccuino alla mano, il biglietto me lo fa, se passa. Accanto a me una signora, una cinquantina, ad occhio, portati elegantemente, scarponcini sportivi (la stazione di partenza tra i monti si perde), capello corto, trucco perfetto, bella. Bella e di classe. Legge. Fino a quando non passa una ragazza, la capotreno, in divisa, trentacinque. ad occhio e passando la signora le dice “le accendi o no ste luci, stronza”. Parapiglia, la capotreno con ironia ma fermezza, le chiede il documento, no signora, non il biglietto, il documento, le prende gli estremi, riceverà una querela a casa. La signora eh no eh mi dia anche lei allora un documento, eh no, io non sono tenuta, signora. Io, timida, dico, devo fare il biglietto. La capotreno cerca col sorriso la mia approvazione, la signora, aiutata da altri nello scompartimento, cercano la mia approvazione; il dissenso, ah il dissenso, porco mondo schifo, non funziona mai niente e non avrebbe dovuto darle nemmeno il biglietto. Insomma, viaggio gratis io, nessun ritardo. prendo pure la coincidenza.

DUE. venerdì 1 marzo, Frecciarossa per Bologna, ore 19.15 al tavolo con me tre chiassosi portoghesi (o brasiliani, non mi è stato dato capire, poco importa ai fini della storia), cambiano i posti fino all’arrivo dei prenotanti, sono tre, due uomini abbronzati, mediterranei, nemmeno male direi e una ragazza bionda alta, una modella. Due di qua, uno di là, non vicini, di mezzo il corridoio. Il mio dirimpettaio si toglie le scarpe allunga le gambe ovunque fino a che io non so proprio come difendermi dalle gambe e dal risucchio violento che fa col naso ogni trenta secondi, una cosa impossibile quel tirar su col naso, forse un problema di salute forse, forse un tic, i piedi, il naso, l’Ipad che si passano di continuo in mezzo al corridoio ad alta voce pieno di foto di scarpe eccezionali, d’alta moda. Io sbircio le scarpe, tacchi da quattrocento euro, voce alta, i piedi, il naso, un’ora quaranta euro il frecciarossa.

TRE. sabato 2 marzo. ore 11. parrucchiere di fiducia, mea culpa il coiffeur lungo via Santo Stefano, storia lunga e poco aristocratica, nemmeno un pizzico “gauche caviar”, lo giuro. Insomma, cuki alluminio tra i capelli, signore anziane con pellicce, una che lo dice non la mettevo questa da tempo, guarda che allergia sul  braccio che mi fa, io zitta, io gauche caviar un cazzo, le labbra a canotto di questa settantenne, e il siparietto “i cinesi son tutti sporchi, i cinesi son tutti sporchi”

QUATTRO. ore 15.30 bus viale Mazzini, linea 27b (boh), mentre il bus arriva e gira dalla strada una piccola auto gli taglia la strada, si ferma in mezzo alla corsia, poi a tutta birra correndo, tagliando le strisce pedonali, anticipa il bus, parcheggia sul viale, esce un uomo, corre verso la fermata, sale spintonando, urla “testa di cazzo mi hai rotto la macchina testa di cazzo, io ti sputo in faccia testa di cazzo che mi hai rotto la macchina”. E sputa. Sputa in faccia al conducente del bus che non fa una piega, si prende lo sputo zitto, tra la gente sul bus che dice “ma è stato lui a tagliargli la strada”

CINQUE. senza data senza ora, portico dei Servi, osteria del sole, museo della musica, circolo Mazzini. (intermezzo)

SEI.  ore 23: mentre Manuel Agnelli degli Afterhours intona (se così si può dire) “Voglio una pelle splendida”, la mia pelle è tutt’altro che splendida, la mia pelle non respira l’Estragon è una nuvola di fumo; fumano tutti intorno a me, mentre ballano, attaccati l’uno all’altro, fumano che devi stare attenta, ti urtano e fumano con le loro sigarette tra le dita. Perché esiste una legge che vieta di fumare in luoghi pubblici ma i bolognesi l’han dimenticato.

Un post che non è ancora un vero post

Stamattina prima ora, fresca fresca, scambio di ora con collega per compito in classe, latino.
Caffé, maglia rosa, nuovo fard rosa, scendo e resisto alla tentazione di guardare i risultati elettorali.
Tanto già ieri si sono scatenate le rabbie, e rabbia deve essere se al primo exit poll i poll me compresa anche se con la solita spocchia del dico non dico si sono ci siamo gettati sui noial network a scrivere di fare le valigie, che però a me, fanchiulo alle valigie.
Rabbia, la rabbia dei voti di protesta che se abiti in verdi province la conosci da vent’anni la protesta del voto come va a finire, la rabbia di chi con nani e ballerini non ci vorrebbe stare più, la rabbia di chi sa che sbagliamo da dentro, la sinistra sbaglia da dentro da talmente tanto immemore tempo che nessuno è incolpevole, è una canzone del maggio che va bene anche a febbraio e gli spari sopra sono per noi.
Ma poi ho la versione di latino dei comeback e c’è tutto ghiaccio e come da mia nota biografica, resto lì a bocca aperta davanti ai disegni che il sotto zero fa sul mio parabrezza, faccio foto nel ghiaccio, arrivo in sala stampa per le fotocopie del testo sui participi e gerundivi, la perifrastica della Belen che tutti gli italiani ai giorni di quella réclame cercavano su gugol la perifrastica, tutti come de sica gli italiani alla grande commedia.
E la bidella della sala stampa dice prof lei sempre in ritardo, ma vaaaaa non sempre solo quando ho i compiti in classe dice spiritosa fresca fresca la gennara e il sotto zero mi disegna sul ghiaccio e io resto incantata e mentre la bidella mi fa la fotocopia, la ingrandisce, gli toglie il numero di pagina il piccolo stereo della scuola pubblica, rottamato da e a qualche collega di inglese, di quelli neri, che frusciano, senza ancora il lettore cd, il caldo del toner e questa canzone di battiato, che lo ammetto me la cantavo iersera prima di andare a letto.

Il ghiaccio, le canzoni, l’attesa di un altro post

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Bar condicio (non ho nulla in Comune)

Qualche sera fa alla radio un conduttore ha zittito seppure gentilmente un musicista che parlava di politica, ma non di politica politica, bensì di cose intelligenti, civili, di cose che non vanno, di “polis”. Il conduttore a dire, siamo in par condicio, purtroppo devo chiederle di cambiare discorso. Da quando caxxo in qua parlare di futuro, di scelte e di un’Italia che ha bisogno di ricrescita ha a che vedere con la par condicio? Quel cantante non faceva nomi, quel cantante parlava di noi. Per par condicio cosa avrebbe dovuto dire, che in Italia cresce la disoccupazione ma che in Finlandia gli abeti di natale son stati bellissimi st’anno? La radio era radiorai, ci pagheremmo il canone per stare zitti, noi.

Per par condicio io però poi apro il giornalino del Comune e leggo questo, la regione in cui abito credo sia chiara, se non sarà serena non vi rasserenerà. Questa roba ho letto. Per par condicio beccatevela anche voi. E meditiamo su quanta gente ha imparato a far politica al bar, al circulin di vecc, tra un bianchino e un campari col bianco.

” Cari amici, da alcuni mesi è stato costituito il gruppo XXXX Nord Xxxxxxxx, nato dal desiderio di parlare di politica, di vivere attivamente e consapevolmente le dinamiche politico-amministrative del paese con l’unico Movimento realmente vicino alla nostra gente, sintesi della Questione Settentrionale. La nostra squadra, in linea coi principi e le indicazioni nazionali, si propone quindi come un laboratorio di resistenza territoriale per la riscoperta anche nel nostro comune di una cultura Autonomista e Padanista, un sindacato locale in grado di ascoltare e rivolgersi alla nuova classe trasversale composta da giovani, pensionati, lavoratori, piccoli/medi imprenditori del nostro comune; un’unica realtà che insieme a tutte le altre del territorio Padano-Alpino, non vuole più subire le vessazioni dell’apparato nazionale centralista! […]”

Se volete continuo. No, eh? Basta? Facciamo esegesi? Le maiuscole sono nel testo, non mie.

…nulla in Comune, con questi qua.

Solo che sta roba è dentro le teste dei miei ragazzi. Dentro a fondo. Ed esce, perché prima dell’Unità d’Italia il più bravino mi parla di una linea di demarcazione linguistica Nord-Sud. E sta roba nei libri di scuola non c’è. C’è nell’aria verde che respirano. Tacciarla di ignoranza non basta, non è bastato, troppo facile. Per combatterla, a volte torno a casa sfinita.