Hinn dumà i liber

Ho risolto dove metterli, almeno fino a gennaio, quelli che non sapevo più dove mettere.
Secondo me casca. Casca prima di Natale, casca pure male se la gatta decidesse di spingere lo sguardo più in là della sola ciotola.
Niente di originale, l’ho visto e copiato da qualche foto su Instagram però ierisera Bromur a cena con l’amico Nicechedice ha sorriso “questa è una bella idea”, prima di assaggiare il mio dessert al caco, che era pure un’altra bella idea.

Eccolo, alberello di natale modello duemila quindici roceresale.

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Hinn dumà i liber chi resten liber anca quand hinn legaa

Un treno da spacciatori

Tra pochissime ore salirò su una auto carica di ragazzi e di cibarie da tenere in caldo.

Insieme raggiungeremo la stazione del capoluogo piccolo, insieme ad altri due che ci aspettano, saliremo sul treno e arriveremo alla stazione minore del capoluogo grandissimo.

Lì consegneremo dei moduli e le pietanze, forse non così tanto calde, a una signora, parteciperemo alla Santa Messa di Natale, e poi distribuiremo una cena ai senzatetto.

Alla fine, ci aspetterà un treno tardi, l’ultimo che può riportarci nelle nostre sperdute lande. E non vi dico l’ansia. Rediostar, star dei Comeback, flemmatico, inviandomi il uazzàpp con lo scrinsciòt dell’orario ha chiosato, per rincuorarmi,  “è il classico treno da spacciatore”.

…e così se i vostri spacciatori di cibarie ormai fredde saranno sani e salvi al ritorno, sarà davvero un buon Natale.

Qua sotto, il blog mi dice che ho 222 follower, molti più dei cinque ragazzi che han detto subito sì a questa proposta di vigilia diversa.  A tutti e 222 e anche a chi non ne fa parte, pur passando di qua, un augurio più caldo delle polpette per come arriveranno al capoluogo; un augurio sconosciuto, che arrivi in un pensiero e possa essere ridonato, subito, a un altro.

Palestra di vita

Che l’ultimo sabato di scuola prima delle festività natalizie  ci sia la festa, appunto, di Natale, è notizia che viene accolta nei più disparati modi; da un uffa, perché non la lectio brevis e tutti a casa; da un ecco, il solito casino; da molti quasi quasi chiedo un permesso, vedrai quelli con la 104; passando da un ma la circolare oggi è già giovedì dov’è la circolare ufficiale; fino all’arrivo dell’a me che me frega tanto ho il sabato libero.

Poi tu che non ce l’hai e non lo vuoi, il sabato libero, ché la libertà è proprio un’altra cosa, in palestra ci vai, che sei di sorveglianza. E li vedi, li ascolti cantare, li guardi saltare, danzare, presentare, uscir di timidezza. L’istituto Durocome è grande parecchino ma conti che a muoversi sono i tuoi, che hai tre classi, in fondo, ma quelli sono soprattutto gli alunni tuoi. No, non c’é determinismo, Roceresà, non è che son bravi perché sei brava te, figurati, peffavòre, anzi ti dici “ma guardali sti sguaiati, latino niente eh, ma va che artisti”. Li senti, un paio ti commuovono pure, e resto a bocca aperta da quanto son bravi.

Spiegaglielo tu ai docenti che han chiesto il permesso, a quelli che si son imboscati al bar, a quelli che han parlato per due ore consecutive, attaccati alla finestra, di scuolascuolascuolacompiticompitivotivotivotimaluisìmaluiperòigenitoriahigenitori. Spiegaglielo cosa hai visto e sentito. Chi sono i loro (anzi, i miei) ragazzi. Spiegaglielo quanto ci han tenuto a che li sentissi. E quanto è importante che tu sia in mezzo a loro.

In quella palestra lì.

I (bi)sogni son desideri

L’ultima settimana è stata una prigionia, compresa la notte del venerdì che alle 1.38 si correggeva l’ultimo tema del penultimo pacco che quasi ci credi a babbino natale, sei te, e ti fai un regalo, glieli consegni prima delle feste.

In realtà amo così tanto il mio lavoro che lo trovo difficile, parecchio, delle volte.

I latintristi andavano e venivano nei corridoi a prendersi il diploma e facevano tappa da me, a lungo, primi esami, soliti sorrisi; non mi mancano più perché son tanto acquisiti che bere il thé con bromur, l’ultimo ad arrivare e a dirmi “sa, mi è sempre sembrata sprecata in quel posto di provincia così di provincia che più provincia di così ci son solo le Murge di Sicilia”.
Bromur tesoro, ridevo con le lacrime, le Murge però mi sa che stanno in Puglia. Bromur con un regalino a forma di libro, son curiosa come un gattaccio di quartiere ma se mi sforzo di fare l’albero, li apro anche a Natale, i doni.

Il mio Natale voluto, ripreso, inventato. Non è più quello del lo aspetto, dove andiamo e della neve vista da finestre di bellissimi alberghi storici e petrosi svizzeri o mericani.
Mi manca, la bella vita che mi facevo fare. Mi manca ma non so se la desidero ancora.
Guardo con ammirazione alle persone che sanno desiderare solo quel che hanno già.
Ma è contraddizione, perché si sa, desiderare è qualcosa che scende dalle stelle, mica roba terra terra. E tu scendi dalle stelle?

Mi manca, la bella vita che mi facevo fare. Mi manca ma non so se la desidero ancora
È il Natale del comprare i pennarelli a Ponci Ponci, il natale del dormire, del leggere, del cercare la neve qualche giorno in montagna con amici, è il Natale del parrozzo che mi viene ogni anno sempre meglio e finalmente so che lo stampo a cupola da purista ce l’avrò ben presto, è il Natale delle lunghe discussioni semiserie con i miei genitori, il Natale del ringraziare tutti i giorni quel bimbo concepito senza sapere, adagiato al freddo, ringraziarlo e chiedergli ancora di salvarci, se poi lo meritiamo. No.

A tutti gli amici, e diciamo così ai “presenti” di blog: presente! un grazie, un abbraccio, auguri.
Agli assenti, che portino o non portino neanche e mai più la giustificazione, auguri uguale.

dulcis in fundo (never ending parrozzo)

“sto parrozzo è diventato un affare di stato” mi dice al telefono dopo essersi accertato che no, non l’ho ancora preparato, malgrado lui abbia chiesto a zie, cugine e a mezzo Abruzzo quale semolino usare perché lei non lo sapeva.

Lei per dirla tutta non sapeva nemmeno cosa fosse sto parrozzo prima di dieci giorni fa quando il lago era ancora uno dei suoi tramonti dolci e l’amica di sempre le chiedeva “digli di spedirti un parrozzo per me”. Te lo fo io, amica di sempre, il parrozzo, e ora che non sei partita per il viaggio di nozze ma per un triste funerale quando torni ci mettiamo a dieta, insieme, la mattina dopo la notte del parrozzo, promesso.

Ora che so cos’è il parrozzo, che tutti gli ingredienti sono pronti lì sulla credenza, che gli ultimi dubbi sono sul lievito se ci va quanto ce ne va, ora che ho capito che una volta fatto potrebbe essere il mio dolce preferito, ora che ho perfino trovato un surrogato di stampo da parrozzo che vi sfido a trovarlo in lombardia lo stampo adatto e come si suole è stato reperito dove mai più pensavi e ti è costato appena due cartelle della tombola di ieri, dove hai sbancato perché fortunata al gioco, giusto a quello. Ora che.

Ora che qualche abruzzese mi aiuti. Ché sto parrozzo faciendum est.

Ingredienti del parrozzo pronti che mi guardano e dicono “allora te vui mòve ca natale è furnut?”

200 g di zucchero
150 g di cioccolato fondente
30 g di burro
150 g di Semolino
6 uova
1 limone
200 g di mandorle dolci

Che poi l’ho cercato su internet e nemmeno a farlo apposta finisco che m’imbatto sempre in lui.

P.S. La si è aggiunta mezza bustina di lievito; sfornato e raffreddato, il parrozzo si è ammantato di una glassa composta di cioccolato fondente e burro fusi a bagnomaria. Una notte in frigo e apriti frigo che meraviglia. La condivido.

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Di ghiacci, di auguri e presepi blasfemi

Stamattina la lastra di ghiaccio del parcheggio mostrava il solito risultato delle nostre lezioni di educazione sessuale in bella fila, qui il kleenex, qui l’involucro d’argento, qui il condom tondo, qui quello sfilato. Il tutto coperto di brina. Io che sono strana un passo alla volta sui mucchi di neve vecchia, sorridevo e pensavo forse la temperatura sta conservando la vita, io che amo l’inverno solo perché lo leggo così il generale, che sotto si tiene le gemme, il generale. Forse è questo che intendeva mia madre l’altro giorno quando ha detto ah ma se un figlio lo vuoi davvero allora è ora di andare a farteli congelare gli ovi. Non ha detto se lo vuoi davvero allora ama chi c’è anche se chi c’è magari non piace a me ma vai e sii felice se c’è. Così passavo nel parcheggio pensavo e ridevo di un’età che non può mostrare il frutto delle lezioni di educazione sessuale fatte a scuola, e che poi non sono una gallina, mi metto lì e faccio gli ovi di notte nel parcheggio diretti sparati nella brina che si congelano e poi li andiamo a prendere amore il quadrimestre prossimo.

Io lo dico che l’inverno mi piace e mi fa pensare e sorridere. Se stiamo a dire che camminiamo sùi gameti sùi zigoti sùi albumi di vita e sono blasfema e tanto se dico che a me natale mi ricorda che qualcuno nasce ed era un bimbo che anche lui la mamma sorrideva e pensava prima che esistesse tutta la criogenetica del mondo, ed era una bella ragazza quella, mi piace pensarla in età da andarvi in auto nel parcheggio dietro scuola.

Auguri blasfemi ma non a leggerli bene, leggasi bene, a ciascuno il suo presepe, io che credo in questo modo qua, nelle notti di vigilia immagino l’adagiarsi dei bimbi tra la paglia nelle culle. Solo così lo sento, che è santo, il Natale.

di nuovo (di niente)

La gatta è di nuovo al pronto soccorso gatti, anestetizzata. Stanotte non sentirò il suo puff felpato nel piumone e sono le abitudini piccine a mancare; lo spazio vuoto sulla destra è un’abitudine più grande. Non conta.

C’è vento gelido stasera, non posso stendere però, la luce del ballatoio è di nuovo fulminata, al buio non riesco

Di nuovo c’è che sono stata a teatro a sentire Toni Servillo leggere i Mémoires di Goldoni. E ho fatto un tuffo egocentrico nella mia infanzia ché a 4 anni leggevo e scrivevo anche io, non scappavo in barca coi commedianti. L’ho imparato da grande, quello. In aereo, coi commedianti.

Il mio dolcissimo nipotino ha di nuovo la febbre. E parla il piccoletto, di vecchio dice “meddimi dù” “vieni dù” e di nuovo dice “tlota” “luccio no” “jiiìa”. Amore della jìia.

Sono di nuovo davanti a questo pc invece di affrontare di petto (suvvia, che mi costa) gli ultimi sedici saggi brevi degli Indeponenti.

La vicina di sotto dai rumori al momento credo abbia di nuovo un fidanzato o surrogato.

Tra sei giorni è di nuovo Natale. Grazie, amore, grazie di niente. Di nuovo, niente.

l’illuminazione (sulla via di Duluth), più che altro una scossa.

Il mio primo albero di Natale, dopo otto anni in questa casa.

L’atmosfera era giusta, ieri. Nelle casse Bob Dylan, insieme a Joan Baez nel 1964. Quella voce inimitabile del menestrello di Duluth. Così con il filo delle lucine cinesi in mano mi accorgo che oggi non c’è neve ma ce n’era tanta, sulla strada per Duluth. Una strada bellissima, guidata bene. La neve.


E mentre sto sulla strada per Duluth infilo le lucine nella spina e perchèdiamineogginon vannocheieriinvecesì. E le tiro, e le smanazzo  (with God on our side) E mentre sto sulla strada per Duluth, in due secondi ieri ho visto le lucine cinesi che schizzavano sul pavimento. E io ferma, con una mano ferma, pulsante. Un attimo a capire che ho preso la scossa. Tutta la sera col dito rigido e i brividi. E con Silvestro che poi controlla che c’è un filo scoperto tra le lucine e dice ma tudevistareattenta, tu.

Oggi, ho cambiato le lucine, le ho comprate nuove, con campanelle e fiocchi rossi. Oggi dopo l’illuminazione (con me servono sempre le maniere un po’ forti) sulla strada per Duluth, cambio anche strada. Il lago odora di neve e le Alpi Piemontesi hanno voglia di ricevere, come me.