Sorniona

Post ad alto tasso di egotismo. Da leggersi anche no.

Ce l’abbiamo quasi fatta io e lagennara. Lo pensavo guidando in mezzo al traffico stamattina. Lo pensavamo guidando andando tornando che lagennara ancora soffre per i giudizi degli ottusi, per i punzecchiamenti dei cattivi, per le moine degli ipocriti. Lavorare, bene, non sentirselo riconosciuto, ingenua lagennara che ancora lavora in nome di un riconoscimento. All’istituto Durocome, poi, dove tutto la scalfisce, e tutti sanno che lei è l’unica scontenta, l’unica sempre incazzata nei corridoi, una che va in giro borbottando. Io. Stento a riconoscermi. So che ho torto, perché prendermela per gli ottusi, gli ipocriti e i cattivi (tralascio pullulante categoria degli ignoranti) ho il torto di misurare il mondo come se io fossi quella giusta e gli altri cattivi, ipocriti ottusi, ignoranti. Sono come loro, quelli che mi stimano mi vogliono forse bene e mi stimano perché mi vogliono bene. All’istituto Durocome non mi stimano. E non so sorriderne col consiglio degli amici “futtetenne Gennà”.

Guidando, tornavo. Dovevo prepararmi il pranzo, costolette d’agnello il menu, in mezzo al casino, alle tazzine del giorno prima che pure in bagno le lascio, che bevo il caffé quasi in contemporanea con la doccia. Ci credo che non vado stimata, vah che schifo. Tornavo, piove, toh, che novità, gesto di andare a scegliere un cd. Non è mai casuale puntare il ditino tra centinaia di cd. Piove, scelgo quello, sapendo che mi automuovo malinconia, il cd dei grandi traslochi malfattimaifatti, il cd delle partenze non intelligenti, il cd che l’amico dei cd disse “compratelo, da una settimana lo ascolto e mi dice che sta parlando di quello che stai passando te, gennà”. Piove, cd sul piatto.

Evidentemente il ditino puntava sui pensieri. Splendido il cd, splendido lui che canta, visto dal vivo il Danielino, un paio di volte, uno di quelli che sul palco si regala, che sa ogni minuto che su quel palco ci sta perché sotto ci siamo noi, e gli italiani non se lo ricordano spesso, musicisti spocchiosi certi italiani, invece Silvestri si diverte con i suoi musicisti, alla pari e ti dice grazie che quasi ti chiama sul palco. Ma ora sono OT.

E ora invece torno a bomba. Che la dovrei smetter di mangiar tutto quell’aglio. Questo è il pezzo, oggi che dice come vorrei diventare io “Non discutere di ciò che sai, Su tutto il resto, esprimi sempre un’opinione! Chi non conosce dignità, non può nemmeno percepire umiliazione e se qualcuno mai te lo rinfaccerà non gli rispondere, sorridigli SORNIONE!…SORNIONE!”

bisogni&desideri

Un giorno come un altro, a pranzo da Mrs Littleparty, mia madre, che a dispetto del nome, feste non te ne fa, né grandi né piccole. E che quando te le fa è più o meno come qui.

Mrs Littleparty dice che non c’entra niente che lei è troppo sobria se io non sono abbastanza frivola; e nemmeno si assume il cruccio se educare alla femminilità non è anche indossare mutande di seta e non rotte che chitelevede.

Pranzo finito, le dico vado, vado a fare due commissioni, hai bisogno di qualcosa, le domando? -tono banale, di servizio-.

“Io non ho bisogno di niente” – il tutto scandito come l’Ungaretti dell’Allegria- “e anche di ciò di cui potrei aver bisogno, ho imparato a fare a meno”. E sorride, sardonica.

Sul lago due giorni fa c’era ancora aria di neve,  c’era una nebbia bassa a metà montagna mentre facevo le commissioni, un paese depopolato, denegoziato, hanno chiuso anche il bar storico dove d’estate ci trovavi sempre l’Umberto a dar fastidio alle ragazze. Se mi dispiaccia davvero non so.

Io ho ancora dei bisogni? o sono solo desideri? e come fo ad essere sicura che non li confonderò ancora? Ho speso 45 euro in mutande elastiche -una volta si chiamavano pancere- orrore-, brutte come il peccato. (Che poi che peccato eh considerarlo un peccato, sempre, quello che si fa, mutatis mutandis).

Volevo essere seria, è di leggerezza che ho bisogno.

basta ‘na jurnata ‘e sole

danno neve tutta la settimana, tranne martedì; martedì era oggi, e avevi un consiglio di classe a metà pomeriggio, di quelli che ti spezzano la giornata, non fai in tempo a fare niente prima, non fai più in tempo a fare niente dopo. Solo a guidare, nelle ore di punta. E guidi, che per me guidare è odio e amore perché c’ho il culo tosto come una ragazzina e la mia teoria dei massimi sistemi è perché invece di gagbodiuorkautpilatesezumba io guido, talmente male che ci sto col culo teso e faccio gli esercizi sul sedile della panda. Esercizi al limite del tantra. Tantra roba. E guido e all’andata mi becco davanti l’ottantenne che va a venti all’ora, saracco tutti i santi della neve di marzo e dico “porca paletta questo è un paese di vecchi rimbambiti”. E guido al ritorno, per evitare il traffico campagnolo mi inerpico per saltus e mi becco l’auto della scuola guida col diciottenne che va a venti all’ora e dico “porca paletta questo è un paese di giovani rimbambiti”

porca paletta.

Poi ti sei alzata con l’immagine di aver sognato una Corvette parcheggiata dentro incastrata di traverso nella tua automobile e sognavi che la vedevi dalla finestra sta Corvette incastrata a romperti il cruscotto dell’automobile tua e lo raccontavi a tuo padre, sai una Corvette, ah sì, lui diceva è successo anche a me, proprio una Corvette, è qualcuno che vuole farti un dispetto. Poi arrivava una donna e restituiva al tuo babbo della biancheria, tipo trapunta colorata dicendogli al tuo babbo non mi serve davvero, riprendila. Io guardavo la trapuntina e indispettita al grado 8 della scala mercalli e ingelosita tale e quale mi chiedevo perchè non l’avesse data a me, la biancheria e non a quella sconosciuta.

Sconosciuta? e poi soprattutto, che macchina è una Corvette? Non ne ho idea, dovrò chiamare il carroattrezzi ciemmequ. Che la devo scastrare sta corvette.

La regola è onirica ma dice pressapoco che nevica a marzo, che martedì c’era sole, martedì era oggi, che scrivere mi fa inutile in questi giorni in cui mi tremano i bordi dell’anima solo a guardare il cielo ma che basta ‘na jurnata ‘e sole…

ps. buon compleanno Pino e auguri a quello che regala biancheria a sconosciute 😉

ti vuoi tutta pizza e bufala?

ti svegli alle cinque del mattino, sudaticcia che lo capisci che è cambio di stagione, dagli uccellini che fanno concerto che nemmeno in un’ode di D’Annunzio, cipicì cipicià, quanti cazzo sono cipicì cipicià. Che è meglio vah che vivi in Italia e non in Amerdica alla fine sennò oggi andavi al supermercato e ti accattavi una pistolina un fuciletto e pam agli uccellini, cipicì cipicià.

Cinque del mattino, intrisa di sudore, dici, perché sì, sbagli, torni a dirtelo, l’insonnia, il sudore. Sarà la meno pausa. Meno male, dici, una pausa. Dici. Cipicì cipicià.

Perché il mondo si regge sulla bufala, l’amore è una bufala. Che so, come se mi venissero a dire abbiamo visto Dr. Vival’IVuGì in una foto sorridente di famiglia, piena di bimbi sorridenti, tutti felici. Che se me lo venissero a dire, maddài, fammi il piacere, è una bufala. Aivoglia a ridere se la vedessi davvero una foto così con Dr. Vival’IvuGì in un quadretto di famiglia.

Cipicì cipicià. Una bufala.

La mattina dopo, se anche fosse vero, tornerei a vedere le cose come stanno.

Come stanno?

Stanno tutti bene.

Stanno che è davvero cambio di stagione, che ho trovato in rete una frase che dice che non siamo colpevoli, ma solo responsabili. Mi è piaciuta, sta frase.

Poi no. Perché io sono stata irresponsabil, altroché e dottor vival’IvuGì è colpevole. Si facesse, si fa per dire, tutte le foto sorridenti del mondo con miliardi di figli già fatti acquisiti sorridenti del mondo, lo stato di minchia(na)polis gli istituisse un premio apposito di father of the century.

La mattina dopo, lo sapresti, che la foto sta negli occhi di chi la guarda. E chi la guarda la vede la macchia.

Io che scambiai per amore un passatempo, io che mi bevo ogni bufala. Anzi la mangio, che pizza. Che pizza, ancora. La bufala sulla pizza fa acqua. Da tutte le parti. Ecco forse l’insonnia, il sudore.

L’indomani lagennara si svegliò lagennara.

Si sente che è cambio di stagione. La stagione della bufala viene e va. Sono stanca, che pizza.

il padre dei fratelli La bufala.
il padre dei fratelli La bufala.

 

 

Predicano bene, ruzzlano male

Che mi dicono, prof, la vuole vedere la nuova campagna del PD, mi dicono, e io no, l’unica campagna che vedo è quella coperta di brina, oltre al canneto che mi svegliano gabbiani stridenti, di lago, la mattina.

E poi me la mostrano, la campagna e tu non sai se dire loro geniale è il mestiere questo, di chi immagina la campagna, le campagne.
Non che io voglia chissà che di nuovo, in giornate come queste, di memoria in cui gli schemi del giochino mi accorgo, vado a memoria.

Quale memoria, quale fiato corto, sto paese. E quale fiato sprecato e quale fiato puzzolente anche, che puzza di storie in cui si fa del male ma anche del bene. Che ti fai un po’ indietro se ti sfiatano addosso pestilenziali. Ma farti indietro non basta. E farsi avanti, che schifo.

Era questa l’immagine di partenza:

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l’istituto comprensivo

l’istituto comprensivo non comprende; o io non comprendo l’istituto comprensivo.

Com’è che anche uno dei Comeback, beccato a studiare durante la tanto agognata assemblea d’istituto, riottenuta dopo sei anni, sgridato perché meno “civis” degli altri mi dica ma noi al liceo abbiamo da studiare, quelli non gliene frega. Uno dei Comeback che a dirla tutta lo si mandasse dritto a lavorare, ci fosse lavoro. Che ha già imparato da tempo a trasferire le sue difficoltà personali nella difficoltà di un percorso diventato alibi classista.

“io non ce la faccio perché del resto io faccio il liceo, micacazzi”. Chi glielo ha permesso?

Com’è che poi uno dei Latintristi a detta assemblea risponda alla biondina del tecnico “rivendico il mio diritto allo studio che noi al liceo abbiamo professori seri”

Com’è che non comprendo o forse ho capito cosa c’è di comprensibile all’Istituto Comprensivo?

Intanto nell’atrio, un alberone di Natale, i nostri nomi su bigliettini luccicanti. Due pinze più in giù il nome di un docente che non conosco. Sarà uno dei non seri? E poi nell’atrio due, un alberino più modesto, più serio, forse.

Del resto, comprenderanno, dopo, se l’Istituto è stato comprensivo.

Di barche, di ghiacci, di cose di cuore

Non volere il televisore per anni, passare per radical chic mentre accenderlo ti costava sapere che sotto il plaid sul divano mancava qualcuno con cui discutersi il telecomando, o baciarsi, nel caso.

Una barca che quando non è tempo di navigare, sa stare ai margini dei muri di freddo.Foto1635È ancora dicembre, riconosci i paesaggi ma in Fargo dei fratelli Cohen ti rimane poco chiaro il senso della scena del compagno di classe della poliziotta incinta.
Cammino ancora facendo buchi nel ghiaccio, per leggiadria, per pesantezza, perchè il suono della lastra sottile che cede somiglia alle mie disarmonieFoto1630

Il ghiaccio può essere una miccia. Si complica l’elenco degli errori e dei legami intelligenti e intransigenti.