La sensazione di aver tralasciato qualcosa, essere stata superficiale.
Non azzeccare un minuto, l’auto davanti a te che guida lenta lenta.
L’ufficio chiuso, la carta persa. Tu c’hai solo il culo di passare lungo quella spiaggia. È tutto latte, nebbia e barche ferme. E neve tardiva, casta, vecchia.
Non voglio primavere, non voglio arrivi l’estate ma essere la barca ferma al lago grigio.
ti svegli alle cinque del mattino, sudaticcia che lo capisci che è cambio di stagione, dagli uccellini che fanno concerto che nemmeno in un’ode di D’Annunzio, cipicì cipicià, quanti cazzo sono cipicì cipicià. Che è meglio vah che vivi in Italia e non in Amerdica alla fine sennò oggi andavi al supermercato e ti accattavi una pistolina un fuciletto e pam agli uccellini, cipicì cipicià.
Cinque del mattino, intrisa di sudore, dici, perché sì, sbagli, torni a dirtelo, l’insonnia, il sudore. Sarà la meno pausa. Meno male, dici, una pausa. Dici. Cipicì cipicià.
Perché il mondo si regge sulla bufala, l’amore è una bufala. Che so, come se mi venissero a dire abbiamo visto Dr. Vival’IVuGì in una foto sorridente di famiglia, piena di bimbi sorridenti, tutti felici. Che se me lo venissero a dire, maddài, fammi il piacere, è una bufala. Aivoglia a ridere se la vedessi davvero una foto così con Dr. Vival’IvuGì in un quadretto di famiglia.
Cipicì cipicià. Una bufala.
La mattina dopo, se anche fosse vero, tornerei a vedere le cose come stanno.
Come stanno?
Stanno tutti bene.
Stanno che è davvero cambio di stagione, che ho trovato in rete una frase che dice che non siamo colpevoli, ma solo responsabili. Mi è piaciuta, sta frase.
Poi no. Perché io sono stata irresponsabil, altroché e dottor vival’IvuGì è colpevole. Si facesse, si fa per dire, tutte le foto sorridenti del mondo con miliardi di figli già fatti acquisiti sorridenti del mondo, lo stato di minchia(na)polis gli istituisse un premio apposito di father of the century.
La mattina dopo, lo sapresti, che la foto sta negli occhi di chi la guarda. E chi la guarda la vede la macchia.
Io che scambiai per amore un passatempo, io che mi bevo ogni bufala. Anzi la mangio, che pizza. Che pizza, ancora. La bufala sulla pizza fa acqua. Da tutte le parti. Ecco forse l’insonnia, il sudore.
L’indomani lagennara si svegliò lagennara.
Si sente che è cambio di stagione. La stagione della bufala viene e va. Sono stanca, che pizza.
Primafalsa li ha fregati tutti quelli che il cambio d’armadio lo volevano a marzo e io che le ho viste le colleghe pheeghe azzardare il sandalo no calza. Prima v’era più sobrietà anche in questo, ché lo sapevi che aprile in sta provincia se lo piove tutto. E oggi è il primo maggio, i supermercati Tigros son aperti (sic) e piove incessantemente in Lombardia. Piove, governo tecnico.
Io ho fatto esercizi di frivolezza negli ultimi giorni; dicono che serva ad essere non dico felici, ma leggeri.
Un make-up artist sfuggito alla giungla niuiorchese mi ha raccontato i segreti dell’alta profumeria. E così ho scoperto un mondo incantevole, quello delle creazioni dei “nasi”, di chi si addormenta in una serra di viole e al risveglio sente la brina di febbraio proteggere quei fiori e ne rifà l’odore in un flacone che ha la magia delle costellazioni. O di uomini poveri che lavorano al porto, scaricano spezie, merci e sono innamorati di donne sfuggenti, puttane i cui umori d’amore sono pepe e zafferano o di mogli italiane, eteree e làttee come albe tra i cipressi. E nasi che scappano in terra ellenica, inseguiti dalla polizia e tra gli alberi carichi di fichi a settembre ristringono patti d’amicizia. O nasi che innamorati delle Bucoliche o di Machiavelli fanno i profumi Virgilio (sa di terra da lasciare e di tamerici) e i profumi Mandragora (sa di donna un po’ furba un po’ che le cose beh vanno così).
E a me pare che in questi flaconi e nei nomi dati alle essenze ci sia chiusa tanta poesia e letteratura che mi sono voluta scegliere, con lentezza, frivola, e riconoscermi in un aroma.
E a me pare che in questi flaconi e nei nomi dati alle essenze ci sia chiusa tanta poesia e letteratura che se anche il profumiere m’avesse raccontato un sacco di fregnacce, lo ha fatto così bene ma così bene che.
gattagennara che fai oggi pomeriggio grigioaprile?
eh, che tu vorresti rispondere, scrivi pisolo e quello ti digita riposo. che poi provi a scrivere pisolino e quello ti fa uscire sul display la parola bisogno.
il t9 lo sa dunque il cosa ma soprattutto il perché.
Quando sei ragazza ti approcci alla poesia in vari modi: ho difficoltà a credere che non si passi da Pablo Neruda, prima o poi, e dai suoi sonetti d’amore. Ricordo anche il libro di Skàrmeta, non un capolavoro ma alcuni passaggi, alcuni sintagmi li ho addosso, da qualche parte, a significare la sensualità. Poi fu la volta di Pedro Salinas e sono sicura che come iniziazione tutto questo sia banale, in qualche modo.
E così, va detto, sono rimasta intrappolata per anni nel verso “vorrei fare con te ciò che la primavera fa coi ciliegi”, traduzione antimusicale di “Quiero hacer contigo
lo que la primavera hace con los cerezos”. Certo, semplice, vorrei farti fiorire. Detto da un uomo a una donna, e quando è una donna a impossessarsi di questo verso le va anche detto molla la presa, lascia che tu non ti senta potente nella vita di un uomo. Non capovolgere ruoli.
E’ un verso facile. Apparentemente. Io sono nove primavere che ogni mattina mi affaccio in viadellago, nove primavere che insegno agli occhi la fioritura dei ciliegi, appena sopra la forsizia. Primavere in cui i ciliegi sono fioriti mentre loro guardavano nella mia stanza e sentivano i sussurri; le primavere dopo in cui mostravo loro nuove magrezze, le primavere successive che c’erano tra noi codici, saluti e indipendenza, quella decisiva in cui le persiane ora chiuse ora aperte suggerivano che avrebbero sentito pienezza e senza riserbo gorgoglii sfacciati, la primavera ultima in cui voi ciliegi e glicini eravate tristi e freschi di sfondo ai dubbi della casa.
E poi questa, che ieri e oggi ha giocato coi vestiti della sorella maggiore. Solo in questa ho capito a perfezione la semantica di quel verso. Prende una manciata di ore, la primavera, e spinge. Accarezza fortissima i bracci di quelle piante, gratta a unghie corte come a togliere una crosticina, non è cattiva no. Haud mollia iussa, in pochi giorni, fa scrivere ai ciliegi il suo trionfo. Sono restata giorni incantata a guardare, lì, con cautela. E ora è aprile.
che piovesse stamane bastava contare i suv fermi in fila davanti al cancello, uno alla volta a far scendere il pargolo che quasi salgono sul marciapiedi perché il pargolo se piove col bus si bagna ma poi i pargoli scendono sì uno alla volta bloccando il traffico e i pargoli, nessuno dico nessuno che abbia un ombrello. da quello si capiva che piovesse.
che fosse lunedì e non mercoledì era perfin più chiaro; se non fosse stato lunedì oggi la sveglia non sarebbe suonata un quarto d’ora prima per arrivare a scuola un quarti d’ora prima (salvo non riuscirci per i suv antipioggia del pargolo) e per recuperare la pen drive dimenticata sabato alle 13 nel pc più e peggio utilizzato di tutto l’istituto. Se non fosse stato lunedì oggi non sarei arrivata in piscina con dieci minuti di ritardo perché al supermercato c’era la coda per comprare una cosa dico una cosa urgente che in casa non avevo, di lunedì e una volta arrivata in vasca la cuffia mentre la infilavo non sarebbe esplosa arrivando a cadere nella vasca dei bambini, la mia cuffia arancione con l’ippopotamo ai lati, esploso dunque.
che non fossi a cesena me l’han detto le prealpi. che invece sopra ai 500 metri è nevicato, e la pioggia e la neve (e son felice di questo inverno) e poi il vento e poi il sole e l’aria è lucida e questo è proprio banalmente bello marzo. e in via del lago i due aspetti di marzo sono affiancati e ve lo mostro.
non piove più è lunedì e non sono a Cesena ma questo e il titolo possono aiutarvi a trovare la password per il post appena dopo, che su lunedì aggiunge assai.