Febbraio è quel mese in cui mi trovo a pranzare ancora fuori, al solito lago; è quel mese in cui le canzoni alla radio sono nuove, sono quelle di Sanremo, che io alla radio le sento senza saperle, senza averle viste e spesso sento e scopro quale vinse che di solito è già aprile.
Che la radio a febbraio fa lo sciàffol, è nuova e dissociata, prima ti spara una delle abusate e rassicuranti melodie da rima amore&cuore o maipiù&poitu invece poi mentre sei lì a pranzo all’aperto in febbraio la radio ti spara anche l’incipit riconoscibilissimo di sunday bloody sunday. I can’t believe(the news today).
Quella sunday bloody sunday che scrissi col pennarello sui jeans, copiando la compagnetta di banco al liceo; forse l’unica stagione breve della mia esistenza in cui ho sentito forte l’esigenza di copiare qualcuno, amavo la sua casa, piena di fratelli maschi, degli amici dei fratelli maschi, di musica e musicisti, maschi, fratelli, amici e di libri, tanti libri. Mentre io avevo la casa a litigare con quello zotico del mi’ babbo che i jeans scritti me li proibì subito da portare, figurarsi, come vietate erano bandane, cavigliere ed elenchi di accessorio velleitario; è zotico ancor ora il babbo, figuriamoci nel 1988, l’anno in cui Sanremo poi lo vinse Ranieri, mi pare, e perdere l’amore.
Il babbo, zotico ebbene e capace di presenze infinite, di portarci di qua, portarci di là, esserci sempre, di proteggerci dal male, possibilmente e amen quando non.
Ne passarono di maschi, di amici e perfino tanti libri; è raro che io ora indossi un jeans che non sia colore omogeneo, di buon taglio, e che non prenda in giro l’alunna col denim stracciato alle ginocchia, zotici come sono, i jeans, e pure un poco io, sicuro, ereditaria.
E insomma dopo sunday bloody sunday febbraio si è riincamminato guidando, dentro una canzone festivaliera azzurra, che ci ho sentito il mare, scontato è, zotico, ma serve ad andare. Andiamo.