controluce tutto il tempo se ne va

Il narratore onnisciente mi lascia sola spesso, si nasconde la pagina dopo.

Così succede come fuori che di sabato c’è favonio e io traghetto non sottocoperta respirando luce e febbraio, forse quello alto era capitan findus sulla sponda di là ma poi forse no, chissà se lo riconosco a capitan findus, dicono che quando il capitano viene il campanello suonerà; domenica c’è stellata e tutti dicono domani nevica, ma figurati, poi ti alzi è lunedì alle 7.00 dici vedi? ma quale neve, vai a fare la pipì e alle 7.20 e dici oh la neve, e mercoledì di nuovo luce e sole; nel frattempo sanremo che non vedo, il papa si dimette, nel frattempo 10 politici candidati alla regione rispondono alle domande dei professori della provincia e nel frattempo scopri che dicono a noi in che condizioni stiamo, e a destra dicono se le tasse le lasciamo qui alla nostra gente investiamo sulla scuola e a sinistra dicono compriamo dei caccia in meno e investiamo nella scuola.

Nel frattempo di cosa?

Il narratore a febbraio mi mette i ferri per tricottare in mano e io tricotto con un nove nella destra e con un 6 e mezzo a sinistra e non capisco perché il tubolare sfalsi le misure, poi capisco, rido, disfo, ricomincio.

Il narratore mi fa chiedere mare o montagna? La voglia di ciaspolare si incarta con quella di sbirciare l’orizzonte e leggere al mare d’inverno, un concetto che gennara, sai considera. Poi, scommetti, finisco in città.

Il narratore onnisciente lo sa, poteva dirmelo che la prima scena dell’ultimo film di Altman è ambientata in quell’autobus fermo per farci colazione nella città di un grande scrittore, un grande fumettista, un grande musicista funky. Quella. Se il narratore onnisciente lo sa, lo dicesse a brezny dell’oroscopo di non dirmi che se non ho un amante per performance erotiche pressoché sacre (o non so l’inglese?) mi basta immaginarlo.

Il narratore onnisciente è giù di trama. Come una foto dal vetro.

Il correttore di bozze, alla fine, abbia cura di eliminare l’abbondanza di aggettivi “giusto” “sbagliato” di cui infarcisco inutilmente febbraio. And my secret life.

Foto1803La vedete?

Polentìadi

Succede che non è un gennaio dei miei, pieni di freddo e sole, pioviccica, neviccica, si appiccicano pensieri di ottimismo tra tisane odorose, compiti in classe di fine quadrimestre, desideri di maggiori lucentezze.

E allora il processore non ha quiete, piango e rido in antitesi, declamo pascoli come fosse il primo dei poeti, faccio l’acida, la bambina stupida, la femmina leoparda, la maliarda, la beffarda, e tutte insieme stanno bene. Pare. Anche la lombarda.

Che a gennaio tira fuori il suo paiolo profescional e scrive sms dal sapido invito “polenta?” cui si risponde portando parrozzi (che non tengono botta) o lagrein da tredici e mezzo e tanta salute! Prosit!

Poi, siccome complice l’europa mai così vicina come qua, a cena puoi essere insieme a una spagnola sposata a un tirolese incinta al nono mese col pupo che avrà un simpatico doppio cognome (e che ha gradito la taragna) e con amico austriaco, cinefilo che mentre gli chiedi allora il tuo film preferito, dimmene almeno tre, tu spari un wenders, un kubrick, un kar wai, lui dice “la meglio gioventù”. E ti dici, bene l’europa, l’italia, però. E ami i film francesi di haneke e haneke è austriaco, però. Però. Santa polenta!

il menù amicale delle cene di gennaio vede polenta taragna con costine al miele di castagno (e birra e granella di nocciole) e soprattutto vede il dolce al cucchiaio, pezzo forte stagione 2012-2013: la crema di cognac e caffé.

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Che, volendo, per 4 persone si fa così:

In una ciotola metto 4 tuorli d’uovo con 4 cucchiai colmi di zucchero mascobado e sbatto fino ad avere composto spumoso. Metto la ciotola a bagnomaria; aggiungo circa 80 grammi di caffé e 80 grammi di cognac (io uso Hennessy) e continuo a spumare. Unisco panna liquida (200 grammi) e 3 cucchiai rasi di maizena. Da pappare calda e spolverata di cannella!

Amo gennaio, ma devo averlo già detto da qualche parte.

Sola seduta sulla panchina del porto

La panchina del porto, per me è facile, è la sedia intorno al mio tavolo. Da qui, con la finestra aperta, almeno fino al maggio odoroso, vedrò la fetta di lago che mi spetta. Uno dei motivi per cui amo l’inverno, che mi lascia appunto questo spazio agli occhi.

Sono giorni di riunioni inutili, di invalsi ché mi vien da dire come nella pubblicità dello shampoo “perchè io valsi (ieri) e (oggi) invalsi”. Di analisi del testo da pessimismo cosmico, di moduli di customer satisfaction in cui i miei alunni hanno dimostrato la poca organizzazione della visita alla capitale del Belgio. Quantunque non abbiano torto, next time li porto non in Belgio ma a Belgioioso.

Sono giorni di favonio poi di neve poi di aria calda, poi di aria fritta, poi di torta mimosa che me la sono comprata di per me perchè in tot anni di vita mai un caspiterolino di maschio con uno spuzzico rametto di mimosa, nemmeno comprato dai poveri ragazzi al semaforo. Ecchecavolo. Solo il mio piccolo Bromur, a lettura di versione di Cicerone effettuata, e al segno del “via con la traduzione, avete le solite due ore, è difficile, buon lavoro” ha esclamato “ah, prof: auguri”. E io che sono un pizzichino adirata con loro ho risposto, secca, ” Bom, il mio compleanno è a luglio, non buttatevi subito sul dizionario”. Esonstronza.

Cosa vi volevo dire? Niente. Che, come ogni anno, gironzolava sul web, in occasione dell’otto di marzo, il testo di Diego Cugia “donne in rinascita”. Un testo usuale, carino ma nientediché, retorico ma non troppo. Però stavolta me lo sono riletto con gusto, ne avevo bisogno. E allora lo posto qui. Perché mio malgrado sono una donna in rinascita, mi scoccia ma lo devo ammettere. Poi vi posto un quadro degli impressionisti che a me gli impressionisti nemmeno piacciono ma questo sì anche se pensavo fosse di MonetManet e c’entrasse col fare colazione sull’erba invece danzano nel mulino ed è Renoir. Sono ignorante da fare impressionismo.

E poi vi posto una canzone che mi è venuta in mente seduta qui al mio tavolopanchinadelporto che mi ricorda il mio terzo anno di liceo. Non è una gran canzone ma mi si è fissata dentro come quando a 17 anni non capisci bene cosa stai attraversando ma senti che attraversi e può bastare. E’ una canzone, è di Zucchero (che non mi piace, nemmeno tanto nel caffé del resto), ma Rispetto fu una grande narrazione.

Cosa volevo dire? niente. Che ci sono cose che mi piacciono pur non piacendomi, trafitta solo da un raggio di luce…

nulla a Aosta

Fasi di isituto gare di sci. Ma io non scio, devo proprio? Posso ciaspolare? Dice il collega sì tu farai l’addetta alle pettorine, vai all’arrivo della pista, 20 minuti di ciaspolata, “ragazzi all’arrivo voi trovate la Gennara e le riconsegnate i suoi pettorali” (ah, ah, ah).

Com’è come non è, nulla osta che io alle 5 e mezza del mattino sono pronta di tutto punto, per affrontare il freddo siberiano ignorando il favonio della sera prima ed esco che tra doppia canottiera, felpa termica, calzamaglia, cappello con falde di pelo e scaldacollo,  l’omino della Michelin mi fa un baffon.

Com’è come non è, nulla osta che alla stazione giù -aosta- affitto le ciaspole chcosasonoquellecoseprof rosa shocking prendo gli impianti e salgo su -pila- . Su significa che con le ciaspole per arrivare alla gara bisogna fare 4km a piedi nel tunnel delle auto o prendere la seggiovia e la Gennara, in quanto addetta ai pettorali, lo skipass  non ce l’ha e su non glielo fanno più a prezzo scuola.

Com’è come non è, nulla osta che senta sopravanzarle della idrofobia e degli acciderboloni a quelli di ed.fisica, categoria da lei acciderbolata da sempre ma che da sempre ormai le han probato il carattere. Così riscendo giù -aosta- abbandonando gara e pettorine (come faranno anche un po’ di ragazzi furbacchioni), vado al noleggio dove in cambio di ciaspole mi mollano sci e scarponi (e se penso che li ho pure tirati giù dall’armadio iersera gli scarponi miei, lucidi e nuovi), spiego tutto alla cassa, mi danno un giornaliero prezzo scuola, risalgo su -pila- e crepi l’avarizia nulla osta che mi affitto pure il maestro per un’ora.

Funziona come la biciclettta o come il sesso che non te lo dimentichi? mah, nulla osta che scio fino a quando le gambe mi reggono (poco), le rinforzo con un piatto di polenta conscia, conscia pure io dei miei limiti, scendo piano piano senza guanti, siamo a 7 gradi di sole eccezionale. Quando di nuovo giù, mi tolgo gli scarponi, mi pare di volare. Una Pila di piacevolezze.

E poi mi lamento che non mi accade mai nulla. Sì, oggi nulla a Aosta.

Monotonia. Vai a prenderla in quel posto, di fisso.

Noi fannullona statale (pluralis incazzositatis) oggi sabato è entrata a scuola alle 8.00. No vabbé lo confesso, erano le 8.04, al sabato si sa, sono in ritardo, ma stamane facevo benzina al self service e solo uscirla dai guanti la mano mi s’è congelata la punta dei polpastrelli che così le saracche non le ho tirate all’ 1.728 euro al litro ma ai guanti frou frou scelti per i -13C° invece di quelli da neve, che poi a dirla tutta facevano così male che mentre guidavo tentavo con lo smerdphone di fare la foto al vetro coi cristalli di ghiaccio bellerrimi che paiono un dvd illustrativo sui frattali e il caos calmo del mondo però l’altra mano mettevo in bocca i polpastrelli e li ciucciavo per rinsanguarli. Capite che insomma erano le 8.04 giustificate e poi ne sono uscita alle 18.00. Un’ora buca che ce l’ho messa su e giù dai corridoi per seguire il collega MaglioneSalmone e tramare contro tutti e telefonare nelle stanze dei bottoni del sindacato perchè forse mi candido, candida, nelle RSU. Totale dieci ore di scuola meno un’ora di pranzo che vai e che vieni al bar inifinito o doppio zero e ordini e venti minuti per mangiare un primo ce li ho avuti. Scrutini al sabato pomeriggio. Solo noi privilegiati abbiamo un sabato così poco monotono, a guardarlo fisso.

Fatto di scrutini elettronici così elettronici che mi viene da ridere a raccontare quante volte trascrivo a penna le stesse cose che ho inserito già in un pc. Piciù! E siccome in venti giorni ho corretto 11 pacchi di verifiche per la genialata del ritorno al voto non più unico me la sento di mostrarvi ora nel post successivo che cosa è successo a casa mia per tutta questa monotonia!

Ah, la password. Facciamo che è un indovinello (anche se non sono brava come la ‘povna), facciamo che è un film, prodotto con pochi soldi ché così è adeguato al mio stipendio, che ha quasi la mia età, il cui titolo italiano NON contiene il nome dello stato americano del titolo originale e in qualche modo far benzina, succhiare le dita, andare al bar qualcosa c’entrano.

ogni gatta ha il suo gennaio 3 (e di alcune prove)

Prove dell’esistenza del narratore onnisciente

che se non esistesse:

1) ora non sarei sul balcone a gennaio con quattordici gradi a correggere compiti in classe con gli occhi assolati di lago


2) MimmanonMimma non avrebbe telefonato qualche giorno fa dicendo “ti va se prendo l’auto e arrivo con una cassa di radicchio, non ho voglia di fare un cazzo, ce ne stiamo a casa, io e te e il radicchio. E così Treviso-Viadellago 355 km di sincera amicizia.

3) io e MimmanonMimma non avremmo iniziato la mattina del suo compleanno (una vera gatta di gennaio) saltando sul letto come bambine e io cantavo paolo conte e cuanta pasiòn nella vita e poi non avremmo pianto a turno ridendo delle battute dell’altra a turno che si ride e si piange in un’intera vita. Che poi non è vero che non abbiamo fatto niente.

4) Morettino de’ Latintristi  non avrebbe preso 7 in un saggio breve sul ruolo della donna tra il Medioevo e il Rinascimento e ci ha capito ché ora abbiamo un probabile ometto intelligente di donne in più.

5) mia sorella non mi avrebbe invitato a mangiare il risotto stasera con il MIO radicchio eh eh

6) non avrei per esempio incrociato la blogger Maggie in giorni incerti d’autunno, diventando invece certo che dove si taglia altro si cuce altro e anche lei ora da ieri ha la sua meravigliosa gattina di gennaio e io le invio una carezza anche se non sono là

7) mio padre al mio “non voglio tornare a scuola domani, non ne ho voooogliaaa” non avrebbe risposto ridendo “vieni che ti firmo la giustificazione, bambina”

8) la caprara vicina di casa non farebbe sempre fuoco che farei fuoco io su di lei ma oggi no ché nel prato quel profilo di scialle, grembiule, fazzoletto in testa, passo gobbo e malfermo mi è sembrato di Sud e famiglia, mi è parso nonna, quindi perdono

Prove della NON esistenza del narratore onnisciente

che se esistesse:

1) forse e dico forse ad ascoltare questa canzone del boss (http://www.youtube.com/watch?v=UIu-1rIZp0o) proprio ora non sarei sola, il sole sui cuscini si allagherebbe doppio e sarebbe una domenica come le nostre,  svegli dopo abluzioni di baci a dirci su quale lago andiamo a mangiare e invece non è così. Smettere di amare mi è tossico come per lui è salvifico. Roba brutta. Coglione di gennaio. Coglioni. Quelli che ho sempre avuto, io.

Ehllosò che le prove a favore sono di più di quelle contro. Ehllòcapito, mica son scema.

L’alto varesotto (ogni gatta ha il suo gennaio)

L’alto varesotto riserva perle di inifinita beltà.

Ierinotte ho traversato un bosco al buio per salire ad una chiesetta. Ho accolto il mio mese preferito a 900 m. seduta ad un tavolo con gente di valle schietta, schiena al grande camino. Ho ascoltato racconti di caccia (zitta) e racconti di giovinezza sparsi tra fienili, bestie, doppiette e dogane. Ho stretto mani in cerchio per pregare il Padre Nostro e l’Orsa Maggiore che mi carezzava il capo. Così, respirando, lui è arrivato.

E’ arrivato mentre Lugano se ne stava immobile aperta ai miei occhi lontani puntellata di fiori d’artificio. E’ arrivato alle tre del mattino mentre le mie ginocchia instabili caricavano passi lenti tra le foglie e i sassi, inutile ché son finita uguale di culo a terra. E’ arrivato mentre scendevo sul sentiero al buio e non ne avevo paura. Mentre la torcia che avevo sulla fronte faceva un piccolo cerchio di luce a terra e io mi divertivo a direzionarlo intorno per fingere di vedere (cinghiali). E’ arrivato che non faceva nemmeno troppo freddo ma con l’odore della promessa che lo farà.

E ora che finalmente sei qua, sei per me. Ti vivo, gennaio.

N.B le foto non sono mie ma trovate nel web. E ahimé non sono notturne.

il prezzo della luce

No, non è un post sulla bolletta dell’Enel. Sarà un post che cercherà di dare un filo (il)logico a molte parole di quelle che più sono l’ossatura del mio sensismo ovvero: neve, inverno, Appennini, vento, alba, sabato, luce, natura, lago, freddo, sinestesia, Alpi, mattina.

Sabato (sta)mattina: la prima ora, certo, di corsa, la sveglia, ohssignur, certo al sabato mattina la prima ora perché se i tre quarti dei colleghi vogliono il sabato libero qualcuno la deve fare la prima ora, vabbé al sabato le strade sono libere e scivolo in metà minuti dall’auto alla scuola, ci sta anche la coccola alla gatta che entra mentre esco, mi fermo, mannaggia forse sono già in ritardo, ma ci vuole poco dai è sabato, esco. Al cancello, piffero che freddo, eccolo il vento che sentivo stanotte, mi piaaace. Arrivo all’auto e mi giro. PAF! mi giro ed ecco la neve alle cime, la neve sull’Alpe, il rosa, il bianco e il blu dell’unghia di lago. PAF! mi giro e resto a bocca aperta. Minuti? Entro dai miei indeponenti con un quarto d’ora di ritardo.                                     

Sabato pomeriggio (passerotto sei andato via?) anno 1990. Attraversando l’Italia quando babbo era più giovane e in auto tagliavamo l’Appennino e così passiamo da un paese che ricordo appena, era Velletri e dal finestrino vedo il corso, vedevo ragazze e ragazzi, lo struscio e la radio trasmetteva questa canzone qui. Così ci sono momenti banali come passare a diciott’anni per sbaglio da un Velletri qualsiasi, fotografare per sempre -nella sinestesia tra vedere e ascoltare- le ragazze che escono a dicembre “contro un vento freddo che le prende”. Da quel pomeriggio, in molti sabati della mia vita -per i suoni e colori e odori insieme infilantisi per scambio sotto le palpebre- ho abitato in mille paesi diversi, ho attraversato viali di tante città del mondo. Che quando le ho viaggiate davvero, è stato ri-trovarle. 

Poi arrivò un altro sabato pomeriggio, che non dimenticherò mai: il sabato dell’amore infinito, che si prolunga sulle lunghe gambe, che si fece slancio e radice. Il sabato in cui la natura ti mostra quanto può, la natura che tanto toglie (e dà) al corpo delle donne. Sapevo che sarebbe stata una mattina come stamattina a farmi fare pace (quanto è bella questa espressione? fare pace, fare pace), fare pace con la natura. Una mattina di quasi inverno.  E poco importa se poi Natura un lunedì all’alba mi ha strappato e si riprese un cuore nuovo, perché nella luce del nuovo inverno, oggi l’ho sentita dirmi questo, sottovoce, mentre respiravo la neve alle cime:

“VEDI? TI HO FATTO TANTO PICCOLA, DONNA, MA TI HO FATTO TANTO BELLA”                                                            Valeva la pena arrivare in ritardo, stamattina.

Sabato sera (adesso). La luce che cala e io che scrivo e mi dilungo illogica. Molte delle persone che conosco, di tutto questo, non amano il freddo.

Ma il freddo è il prezzo della luce.