Ora e livòra.

Sivembre corre a passi ben distesi verso la stagione; la prima volta che in radio ho sentito la pubblicità progresso (chiamiamola così) che chiede di usare internet senza violenza, i forum senza discriminare e i blog senza aggredire, ci sono rimasta secca. Non sorpresa ma secca.
Fanculo (ecco, appunto) ai residui negropontiani di quando ho iniziato a lavorare e ho pensato che in rete e nella rete ci saremmo caduti tutti democraticamente.
E ci avremmo fatto letteratura arte astrofisica e social di qua e sòccia di là.

Livore. Una delle mie parole spreferite. Intorno a me cresce vigorosa la radice del livore. A scuola, tra i colleghi, mentre guido, in fila alle poste, nel cortiletto di casa all’ennesimo sbuffo di agognato usucapione.

Il livore non è cosa da pigri perciò non fa per me. Per il livore non si è mai abbastanza on taim on lain, on mai maind, on anista. Il livore esonda all’improvviso, con un “imbecille”, un “ma chi si crede di essere”, un “come odio questo”, un “non capisci”, un “ma guarda com’è ridotto”.
La nonna di roceresale direbbe che il livore “è fatt a cuòppo e chi s”o piglia se schiatta ‘ncuòrpo”. Roceresale dice solo che la rete è gratuita mica costa ottanta euro cinquanta minuti. Che non è la tariffa del piacere, eh.

No alla violenza nei blog; infatti qui solo gattini e tanto ammore.

Ieri il postino pigro e pomeridiano mi consegna questo pacchetto qua:
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Questo è l’astuccio che da domani sostituirà l’unico astuccio avuto in questi diciassette anni da prof. C’è sempre un astuccio 2.0 e una persona che da dietro le parole, da dietro uno schermo spunta, diventa un volto, una prossima gita, un dono.

Grazie Stravagaria: del dono, di come fai rete.