Se c’è qualcosa da dire ancora, ce lo dirà

La mia scuola non sarà mai la tua.
E non per il tailleur impeccabile, per gli accessori che costeranno quanto lo stipendio, non per la messa in piega fresca bisettimanale, non per la nobiltà di sclatta o per la patrimoniale.
Queste sono cose capitateci a caso, potevo nascerci io blasonata ed eran cazzi a far la comunista, poi.
La mia scuola non sarà mai la tua perché tu vuoi essere pagata (dallo Stato, cioé dai contribuenti, sia messo a verbale) “per non stare in classe”, ma in qualità di “esperta”, che nella vita hai imparato tante cose. Che per una che sa tante cose la didattica è noia.
Tante chiacchiere.
Tutti vorremmo essere pagati per fare quattro chiacchiere.
Bah, io no.
La mia scuola non sarà mai la tua, quella degli amici “esperti” esterni che a forza, fregandosene del parere contrario di collegi e consigli, ricicli, tu e la cricca e propini.
La mia scuola non sarà mai la tua, che con tono pacato e savoir faire e falsità fingi anche e il tuo lavoro è adulare adulare adulare.
Me no, ché a me dei fiocchi sulla tovaglia della merenda me ne fotto.
Me no, ché io sono ideologica.
Inculco idee nei ragazzi. Le mie. Si sa, nella scuola “privata” non si fa.
Finché campo la mia scuola non sarà mai la tua.
E nemmeno la mia.
Finché campo la scuola resta pubblica.

Come per i carabinieri, un giuramento allo Stato ci vorrebbe. Mentre lo Stato assume persone senza nemmeno un giorno di servizio nel pubblico, in virtù di un elenco.

Che a starci in quell’elenco pare si diventi “esperto”.